VOLESSE IL CIELO
di Vincenzo Salemme
con Vincenzo Salemme, Maurizio Casagrande e Tosca d'Aquino



Risulta difficile recensire un film come questo di Salemme cercando di non svelarne il finale. Perché nel finale, nel bene e nel male, sta tutto il film. Allo stesso tempo sarebbe facile liquidare "Volesse il Cielo" come un brutto film, moralista e pseudo-buñueliano, dai dialoghi nemmeno troppo brillanti per quella che vorrebbe essere una commedia - neppure di soggetto originale perché di ragazzi selvaggi, kaspariani e smemorati ne abbiamo già incontrati, in altri generi ed anni. Devo essere sincero, a distanza di 24 ore non sono riuscito ancora completamente a metabolizzare la pellicola: pur rendendomi conto che tra le 20 persone presenti in sala ero l'unico che non rideva, non mi è ancora chiaro cosa facesse così tanto ridere. La storia, dunque. Una ragazzina si rifugia in lacrime in una chiesa dopo aver abbandonato il proprio neonato in un cassonetto. Mentre in preda alla disperazione si lascia cadere ai piedi dell'altare, ci troviamo nel bel mezzo di un inseguimento, non particolarmente rocambolesco, che finisce con l'auto dell'ispettore Massa (un bravo Maurizio Casagrande) che sbatte proprio contro un cassonetto da cui sbuca, nudo e privo di memoria, un uomo senza nome (lo stesso Salemme). La storia è in pratica tutta qui. L'ispettore Casagrande cerca la madre dello Smemorato, che nel frattempo si innamora della bella poliziotta Chiara (Tosca d'Aquino, sempre uguale a se stessa ma qui almeno co-protagonista), porta un po' di scompiglio nella famiglia della stessa, fino al finale rivelatorio e moralista (nel senso più ampio del termine). Il problema è che fin dalle prime inquadrature, con l'entrata in campo di Tiresia (Armando Pugliese) e del suo aiutante, che vorrebbero condurre lo spettatore nei meandri della vicenda - ponendogli quesiti e suggerendogli situazioni - ma che a mio avviso sono invece solamente irritanti, la vicenda diventa un lungo susseguirsi di gag e battute inutili. Si veda quando Casagrande domanda ad un'inserviente della casa di cura se ha visto due motociclisti, figure che fino a quel momento non si sono ancora viste - oppure la partita di calcio costruita "ad hoc" per la partecipazione di tre famosi calciatori, comunque inutile nell'evolversi della vicenda.  Ed è paradossale che un film che prende esplicitamente ad esempio le figure del teatro greco classico non segua poi - o almeno provi a seguire - le tre unità di Tempo, Spazio e Luogo, che anzi le superficiali gag e il disarmante montaggio confondono in un nebbioso panta rei. Bisogna innanzi tutto domandarsi se il film può esistere al di fuori della "napolinità", o se tale "napolinità" non risulti poi in fondo offensiva per i napoletani stessi. Per onore di critica sveleremo il finale, perciò potete non proseguire. I protagonisti del film, tutti, dall'ispettore a Tiresia, sono in realtà i Santi della chiesa in cui la ragazzina è entrata: essi hanno preso vita e - come in una commedia greca - hanno creato questa storia per permettere alla giovane di salvare il bambino; la ragazza corre al cassonetto, ritorna in chiesa con il neonato, e lo fa battezzare (lui, che per tutto il film non ha avuto nome) Ciro - Santo che tra le statue ha ovviamente il volto di Salemme. Ora, al di là di questo finale moralista (Elio aveva fatto meglio con un dissacrante brano musicale in uno dei suoi primi dischi), talmente forzato che è la voce fuori campo di Dio (ma non si era già sentito in don Camillo?) a spiegarci a cosa abbiamo assistito, viene, in effetti, da domandarsi se fuori da un contesto napoletano il film possa esistere. Non si riesce ad immaginare un "Volesse il Cielo" milanese (per citare una metropoli del Nord, non per altre ragioni) con Sant'Ambrogio e la "Madonnina" a dividersi le parti, e questo è un altro dei limiti del film - lavoro cinematografico che però sicuramente piacerà ai più. L'altra questione, accennata in apertura, è: si deve salvare un film se il finale a sorpresa vuole cucire e spiegare tutte le anomalie e le lacune incontrate nel corso della storia? Si potrebbe citare Boxing Helena per dimostrare che no, non si può. Né si può pensare che Salemme abbia giocato a fare Buñuel, perché Buñuel è, di fatto, un altra cosa. Il fatto è che se dovessimo partire con la filmologia di Salemme da quest'ultima pellicola, e fossimo tabula rasa sulla sua produzione cinematografica, non saremmo invogliati ad approfondirla più di tanto. Aspettiamo il prossimo film, dunque, e volesse il cielo sia migliore.

Voto: 16/30

Matteo FERUGLIO
05 - 02 - 02


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