TUTTO SU MIA MADRE
di Pedro Almodovar
con Marisa Paredes e Cecilia Roth


Potremmo riassumere così il senso del film: dall'affabulazione delle donne-madri, intente ad arrangiarsi nella vita, dalla loro "creatività" (fuori e dentro metafora), nascono la finzione, l'arte, il teatro. Per Almodovar, l'immagine di un gruppo di donne che parlano simboleggia l'origine della vita, ma suggerisce anche l'idea della necessità sociale di fingere ( come la protagonista di CENTRAL DO BRASIL) e, dunque, della narrazione.
Manuela, abbandonata dal marito che ha cambiato sesso, perde Esteban, il figlio, investito mentre rincorre l'autografo di una diva del teatro (Huma/Marisa Paredes) all'uscita di UN TRAM CHIAMATO DESIDERIO. Lei lo vede e, con lo sguardo, battezza il sacrificio del giovane, che ambiva a farsi scrittore per cogliere l'illuminazione dell'atto creativo (ne parlava con la madre, Cecilia Roth, in una scena iniziale, mentre guardano in tv EVA CONTRO EVA). Lei parte per Barcellona alla ricerca di Lola (il suo ex). Le capita, invece, di lasciarsi trascinare dal CIRCOLO VITALE DELLE MORTI E DELLE NASCITE, incontrando, di seguito: Agrado, travestito perennemente in amore; Rosa, suora sieropositiva e incinta "di" Lola; Huma, che ogni giorno, nei panni della Blanche di Tennessee Williams, copre le lampadine per impedire la vista troppo netta di una realtà povera di sogno. Sembra la sinossi di una delle pellicole punk degli esordi survoltati in stile PEPI, LUCI, BOM E LE ALTRE. Ma siamo in altri territori… Manuela convince Agrado a recitare con lei la pièce teatrale, procedendo di affabulazione in affabulazione. Non c'è soluzione di continuità tra vita e teatro: quest'ultimo è finzione e rivelazione della prima. Better than life, piuttosto che "bigger". E il film entra ed esce dalle nostre stesse vite con la semplice verità di un cinema (contemporaneo e già "classico"), che è palestra dell'anima e dialoga a distanza con i capolavori degli anni '50 - il già citato ALL ABOUT EVE, del 1951, sul doppio arte/vita, con l'adorata Bette Davis e Anne Baxter - quasi a voler costruire una grandiosa "telenovela" senza tempo, che attraversa stili e concezioni. Siamo all'interno di un melodramma controllato, nel film di un Fassbinder mediterraneo, che ha brevi momenti di commedia quando poche battute descrivono l'improbabilità (subito metabolizzata) dei personaggi, descritti come "persone credibili, più che come parodiche figure di un teatro immaginario".
Il registro tragico è, invece, trattenuto fuori scena, grazie ad ellissi narrative qui perfettamente giustificate dal fine. Le morti di Esteban, Rosa, Lola sono "necessità" atte ad innescare il meccanismo del racconto. Ogni figura lavora esclusivamente per il senso complessivo, a differenza di altre "coralità" almodovariane. E il collante è Manuela. Lei CREA gli altri personaggi dal nulla o dalla crisi in cui si trovano. Li trascina in un altro DOVE fisico o interiore. La struttura del film le si organizza intorno, trovando un punto di rilancio nella scena "circolare" del taxi alla ricerca di Lola, nella Barcellona estrema battuta dai travestiti. Tutte queste vite, non generano piani narrativi sdoppiati o un montaggio che le rincorra in parallelo. C'è un corpo attoriale unico che va verso la meta, e la cifra stilistica non può che aderire all'inesorabilità "semplice" di questa epifania progressiva. Niente scene madri, ma piccoli grumi narrativi di impalpabile forza.
Manuela, peraltro, non ci conduce solamente sul piano del doppio arte/vita. Si pone a protezione di Esteban, di Rosa, del figlio di questa, di Agrado, di Lola malata, della fidanzata di Huma, tossicodipendente. Difende il gruppo, la neo-famiglia. "Dedico TODO SOBRE MI MADRE a tutte le persone, a prescindere dal sesso, che aspirano alla maternità"; " (…) La famiglia che predico è quella naturale, cioè POSSIBILE", oltre gli steccati dei contratti sociali. In questa famiglia allargata, dai ruoli sdoppiati e attraversata da ampie correnti di nuovo pensiero, ciascuno ha modo di reinventarsi.
Ecco il secondo messaggio, di primordiale e modernissima potenza eversiva: la donna/madre, generatrice per definizione, lotta contro ogni tipo di morte (fisica, psichica, sociale), creando o aiutando a creare/inventare qualcosa di nuovo. Ci si incarna in nuovi corpi (il paziente che in sé accoglie il cuore di Esteban, fatto rientrare anche lui nel ciclo vitale; i nuovi corpi "transgender" di Lola e Agrado, secondo il quale abbiamo tutti diritto ad "essere il nostro sogno", il semplice figlio in cui rinascerà Rosa ormai morente). Ma ci si incarna anche in una nuova vita, come quella della stessa protagonista una volta a Barcellona, o quella di Agrado, che lascia la strada per il teatro. Assistiamo alle rigenerazioni, nascite e morti, che, di per se stesse, sono sinonimo di vitalità, continuità del ciclo, estrema creatività e maternità globale.
Come sempre in Almodovar, ambienti e décor sono essi stessi costruttori di senso e in continua interazione con i personaggi. Il controllo di un cromatismo denso e lineare al contempo, porta ad esiti più maturi rispetto al passato. Qui i colori convivono e si distendono con naturalezza lungo il "percorso psichico" di personaggi e vicende.
In definitiva, TUTTO SU MIA MADRE ci dice che ogni rapporto è possibile se sicura è la forza del sentimento che lo spinge: ci si ama, protegge, aiuta senza vincoli morali, ruoli, contratti. MADRE è colei che crea, inventa, racconta; MADRE è colei che si/ci reinvesta e ricrea. Come Gena Rowlands, Bette Davis, Romy Schneider, madri e mogli dolorosissime anche nella vita reale, cui il film è appassionatamente dedicato.

Voto: 30/30

Gabriele FRANCIONI
18 - 01 - 01


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