TRAFFIC
di Steven Soderbergh
con Michael Douglas, Catherine Zeta Jones e Benicio Del Toro



TRAFFIC: il tema del film, nemmeno a dirlo, è il "traffico" di stupefacenti dal Messico agli Usa. Semplice. Non altrettanto semplice il modo di raccontarlo, quello che in gergo si chiama intreccio.
Ma partiamo dagli Oscar che gli sono stati assegnati: alla regia, al montaggio, a Benicio del Toro come migliore attore. Perché la regia e il montaggio? La trama è semplicemente deflagrata in tre diramazioni secondo una prospettiva che agli americani non era assolutamente nuova: in letteratura l'aveva fatta il buon W.Faulkner nei romanzi L'urlo il furore e Mentre morivo, assolutamente deliranti e staordinari, o B. E. Ellis in Le regole dell'attrazione; nel cinema ne aveva dato un esempio elegantissimo l'Altman di AMERICA OGGI e il P.T.Anderson del recente MAGNOLIA (da alcuni accostato al L'ULTIMO BACIO di G. Muccino se non altro per l'utilizzo continuo del sound bridge).
Il racconto si divide in tre direzioni: la lotta militare contro i "boss" della droga condotta dall'ambiguo generale Solazàr; la reazione di C. Zeta Jones che interpreta una donna il cui marito è arrestato per traffico di stupefacenti (superata l'incredulità iniziale, prenderà proprio lei il suo posto nella direzione dei movimenti di droga attraverso il confine); il consumo di stupefacenti da parte dei ragazzi americani e in particolare dalla figlia del nuovo giudice eletto alla carica di capo della commissione per la lotta alla droga, interpretato da uno spento M. Douglas.
Le tre storie dovrebbero incrociarsi e completarsi e l'impressione finale è quella di un godibile cocktail di generi: è un film denuncia, un film-documentario perché spiega gli interessi economici e politici del cartello messicano, un film d'azione e, per finire, un film di introspezione psicologica. Il ritmo delle scene, sempre più veloce, rapido, poi esasperato fino all'angoscia (merito questo del montaggio) segue coerentemente lo sviluppo della trama, e dei movimenti di macchina di Soderbergh, estremamante azzeccati, con una camera a spalla che sballotta di qua e di là continuamente per "stare più vicino agli attori" (così ha detto il regista ad una conferenza stampa). E' inevitabile il confronto con la camera a spalla di INSIDER di M. Mann. Infine, l'utilizzo dei filtri: per il Messico è stato scelto un filtro giallo, per i ragazzi e la figlia di Douglas quello blu, più freddo ed ovattato. Il risultato è altamente apprezzabile così come è apprezzabile la "trovata" del bambolotto fatto di cocaina pressata: davvero geniale.
Ma il "racconto" della storia, divisa in più temi e trame, appare encomiabile anche se non perfettamente riuscita: i caratteri dei personaggi non sono ben definiti a scapito della rapidità e del ritmo filmico, da ciò una non indimenticabile interpretazione di M. Douglas e della sua attuale consorte C. Zeta Jones, ma decisamente meritato l'Oscar di Benicio del Toro (recitazione sofferente e di stomaco, come i migliori). Le virtù tecniche hanno probabilmente superato la trama, o come scrisse A. Ceckov nel Gabbiano, "Il talento (del regista e dell'addetto al montaggio) ha superato l'opera".
Un po' troppo didascalico il finale: un quadretto familiare pieno di speranza e amore, una nota forse stonata in un film che fin dalle prime sequenze ne sembra saper dribblare, abilmente, il pericolo.

Voto: 27/30 

Giuseppe SCATA'
17 - 08 - 01


::: altre recensioni :::