TIME AND TIDE
di Tsui Hark

E' da tempo che cerchiamo di vedere, inutilmente, ONCE UPON IN TIME IN CHINA, capolavoro del cinquantenne Tsui Hark, coetaneo e collaboratore, anche in veste di produttore, dell'altro mago riconosciuto del cinema cino-hongkonghese, John Woo, ma dobbiamo accontentarci dei brutti film hollywoodiani con Van Damme e, ogni tanto, di ottimi prodotti girati in patria, come questo TIME AND TIDE, capaci di ritagliarsi uno spazio importante all'interno di rassegne ricche di tradizione, come Cannes e Venezia.
Vale la pena svegliarsi molto presto per conquistare un buon posto all'interno del Palagalileo, se è il giorno di Hong Kong, ovvero la frontiera estetica della violenza stilizzata e del cinema di genere contaminato con melò e commedia. E' vero, come va dicendo molta stampa da ormai un paio d'anni, che l'omaggio sempre più frequente al far east cinema è forse spesso un atto dovuto, talmente frequente da aver ormai portato ad una europeizzazione di quella cultura visiva, ma questo discorso vale esclusivamente per le nazioni "deboli" dal punto di vista commerciale, almeno fino ad ora, del cosiddetto "cartello orientale". Come dire che da registi cinesi e giapponesi, autori di un prodotto mediamente alto ma incapace di confrontarsi al botteghino con i film europei una volta sbarcato dalle nostre parti, arrivano sempre più spesso opere che ammiccano alla nostra cultura e alle nostre tradizioni cinematografiche, il che potrebbe, a lungo andare, snaturare quel cinema, mentre Hong Kong, mercato ricchissimo sino al 1997, anno dell'annessione alla madrepatria, non ha bisogno di operare mutazioni, avendo già in sé una doppia anima linguistico-culturale, che risale alla Cina e al Regno Unito, e che ne determina una solidità anche economica.
Ecco allora che i film dell'isola camminano sicuri sui tragitti segnati da una consolidata arte dell'equilibrio instabile tra action movie e disquisizioni filosofiche sulla natura del Male e hanno talmente sicurezza di sopravvivere con gli incassi in patria [intesa anche come Cina], che le partecipazioni ai festival europei sono irrilevanti sotto questo punto di vista. Come dire, insomma, che invitare film cinesi e giapponesi, per questi festival, è ormai un obbligo e, se le pellicole ottengono premi e riconoscimenti, la cosa inciderà sensibilmente sull'esistenza futura delle opere [ da cui la succitata tendenza all'omaggio alla nazione ospite, forse foriero di benevolenza, palme e leoni ], mentre i lavori hongkonghesi possono fare a meno di una simile vetrina.
TIME AND TIDE, infatti, è più che altro un lusso visivo, un godibilissimo videogioco ipercinetico, che i giornalisti gustano di prima mattina, sapendo che il resto della giornata veneziana riserverà loro oggetti d'arte cinematografica decisamente più pensosi e sofferti.
Mai vista tanta velocità e tanti tagli di montaggio in un film!
Incredibile, poi, l'abilità di Hark nel garantire alla m.d.p. una serie di posizioni improbabilissime dalle quali riprendere un ottanta per cento di scene d'inseguimento, esplosioni, sparatorie e un più modesto venti per cento di oasi sentimentali.
Al centro della storia è Tyler, furbo e irrequieto ventenne di Hong Kong, che mette incinta la poliziotta Jo, poco incline a unirsi con lui e a condividerne lo stile di vita. Lui deve quindi trovare servizio come guardia del corpo per trovare i soldi necessari al sostentamento del nascituro. Durante il lavoro conosce l'ex-mercenario Jack, con il quale inizia un rapporto di amore e odio, dal quale avranno origine diverse, e spesso poco chiare, situazioni estreme, tra sparatorie e folli fughe e rincorse nella caotica metropoli orientale.
Sebbene fin troppo veloce e adrenalinico, TIME AND TIDE si fa apprezzare, nel suo complesso, per il ritorno di Hark ad un tono perlomeno più ironico e scanzonato rispetto ai blockbuster degli anni hollywoodiani.

Voto: 27/30

Gabriele FRANCIONI
03 - 01 - 02


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