A TIME FOR DANCING
di Peter Gilbert
con La risa Oleynik, Shiri Appleby, Peter Coyote



Il primo lungometraggio per il grande schermo di Peter Gilbert segue il sentiero battuto della saga adolescenziale dai risvolti tragici, impastando nel calderone della storia tanta materia difficile da gestire: l'amicizia, i contrasti familiari, la rincorsa dei sogni, la malattia e la morte. Il progetto è tutt'altro che audace in quanto conta su elementi narrativi tematicamente onerosi ma drammaticamente redditizi, e la fisionomia della vicenda, i suoi dati anagrafici e la sua ambientazione, rivolgono il film ad un pubblico di teen-agers che dei facili sentimenalismi e delle risoluzioni drastiche, si sa, cadono facile preda. L'esito, come era prevedibile, è mediocre, galleggiando in modo poco convincente tra la riflessione antropologico-sociale e il romanzo rosa. Jules e Sam sono due amiche intime che condividono la passione per la danza e vivono un rapporto nel quale la prima vanta il carattere dominante: Jules è danzatrice illuminata dal talento e totalemente concentrata a superare l'esame d'ammissione alla Julliard School di New York, a costo di sacrificare i rapporti umani, mentre Sam è la personalità più problematica che vive all'ombra dell'amica e programma le propie scelte sulla base della devozione reverenziale al suo modello. In questo schema narrativo si intreccia una trama di implicazioni impegnative che vanno dalla ricerca del sè [nella crisi di Sam], alla difficoltà dei rapporti con i genitori [soprattutto tra Sam e la madre], alla contemplazione dell'arte [nei discorsi agli allievi da parte della insegnante di danza], ecc… Gilbert tenta di districarsi nel marasma del suo minestrone approfondendo alla meglio le faglie che si creano tra i blocchi tematici e riesce a confezionare un prodotto accettabile ma non brillante, nel quale i tentativi di riflessione su questioni difficili si annichilisce sotto il peso del sentiero tematico portante, la "lotta per il successo", confermando, semmai ce ne fosse il bisogno, l'appartenenza del film alla cultura che lo ha prodotto: se per Sam la perdita dell'amica è occasione critica per intraprendere un percorso di maturazione che la porterà a liberare i propri talenti, Jules non è dirottata dalla tragedia della sua malattia a riconsiderare la propria scala di valori e il fatto di continuare a perseguire una ambizione ossessiva, malgrado il carattere definitivo del dramma in cui versa, è trattato nel film nel segno di una riconosciuta virtù. Anziché ridimensionare il senso dell'esistenza, la prospettiva della morte non intacca affatto la priorità della competizione, e la risoluzione della vicenda, in cui il rapporto mistico di Jules con la danza viene sugellato dalla iscrizione tanto meritoria quanto inutile alla prestigiosa scuola, annacqua quei pochi squarci di intensità che il regista ha provato a disseminare nel film: l'esperienza sessuale, l'abbandono della classe, l'immersione nel silenzio della natura, qualche buon dialogo, ecc… il film è tratto da una storia vera? Va beh, non è cosa di cui vantarsi e non è certo una novità che il cinema reinterpreti a propria discrezione un fatto di cronaca: il problema è se tale discrezione vada nel senso di una lettura profonda [che slega l'arte dall'informazione] o di uno scivolamento nella storiella patetica da ombrellone. La pellicola scorre gradevolmente nel rispetto dei tempi narrativi e la prestazione delle due attrici protagoniste non è passibile di critica alcuna, ma ciò che manca a Gilbert, almeno in questa sua prima prova, è un talento visionario che sappia evocare dimensioni emozionali altre rispetto alla superficialità di un percorso narrativo che approda a facili tesi dispiegando un registro proprio delle fiction pomeridiane, infarcito com'è di elementi kitsch dell'apparato estetico dei teen-agers televisivi: camicioni cadenti, scarpacce fosforescenti e insegnanti ispirati con dieci metri di sorriso sulla faccia.

Voto: 22/30

MIRCO GALIE'
30 - 09 - 02


::: altre recensioni :::