the master

di Paul Thomas Anderson
con Philip Seymour Hoffman, Joaquin Phoenix

Marco Grosoli

 

26/30

 

Primo equivoco da chiarire: The Master non è un film su Scientology, né su alcuna altra setta religiosa. È invece, piuttosto trasparentemente, un film sulla psicanalisi. Potremmo dire, addirittura, che sia la controparte (pseudo)freudiana all'intrapresa (pseudo)marxiana che fu Il petroliere. Dietro la storia di questo reduce di guerra sbandato che si fa irretire da un omologo di L. Ron Hubbard e dalla sua setta proponentesi nientemeno che il controllo sulle proprie emozioni, è pressoché tassativo riconoscere, in ogni dettaglio, un trattamento psicanalitico in piena regola, alla fine del quale il soggetto conquista la propria indipendenza rispetto all'analista, e soprattutto impara a maneggiare il terribile dato di fatto che il proprio desiderio, per quanto abissalmente animalesco possa essere (si veda la connotazione ipersessuata di cui è oggetto il protagonista), ha in realtà l'inconsistenza di un'ombra. Nel caso del protagonista: il desiderio per l'altro sesso, che orienta ogni fibra della sua vita, è in realtà il desiderio di una donna di sabbia.
Il che ci conduce al secondo equivoco da chiarire: P. T. Anderson, fondamentalmente, non è un regista. Non è capace, in altre parole, di entrare nel flusso dell'azione e padroneggiarlo facendosene a propria volta padroneggiare. No: lui crede che a quell'ombra (quel fantoccio, quella figura di sabbia) che è il proprio desiderio si debba dare una rappresentazione davanti a sé, una consistenza monumentale. Ed eccolo, allora, a curare oltre il dovuto le proprie inquadrature, ad escogitare per ognuna di loro una maestosità figurativa che, semplicemente, contraddice l'assunto del racconto, perché è la dimostrazione flagrante che, a differenza del suo protagonista, Anderson non vuole abbandonare l'illusione che il fantasma che si tratta di rappresentare (o rappresentarsi) abbia una sua granitica consistenza. Vuole essere un Master, non riesce ad accettarne la futilità – sopra la quale, anzi, si accontenta di piazzare una pezza tramite la magniloquenza del 70 mm. In termini ulteriormente diversi: Anderson non riesce a trovare la misura per cui il proprio fantasma/desiderio non è né opaco né trasparente, ma ambo le cose insieme (l'esercizio che il santone-alla-Hubbard sottopone al proprio adepto è precisamente quello di oscillare ossessivamente tra una parete opaca e un vetro trasparente).
Grandissimo lavoro con gli attori, certo (e Philip Seymour Hoffmann più di Joaquin Phoenix), ma anche qui, non si tratta che del tenero (per non dire patetico) attaccamento all'illusione che un Soggetto Individuale esista – la quale è precisamente l'illusione che la psicanalisi, se vuole davvero andare fino al fondo del proprio percorso, deve abbandonare. Anche perché, alla fine del suo percorso, la psicanalisi è obbligata ad incontrare la religione: cfr. ora e sempre Jacques Lacan e la sua “chose freudienne” così vicina alla The Cause del santone di questo film. E Anderson questo lo indovina, nel momento stesso in cui la religione diventa nel suo film la maschera evidente della psicanalisi. Il problema, al di là della perizia con cui Anderson mette in piedi la sua grandeur di cartapesta e dei sottotesti più o meno acuti con cui infarcisce la sua esile parabola (il ruolo centrale del Femminile in una dinamica a due che parrebbe solo maschile) è che non riesce a credere che il proprio desiderio sia dappertutto anziché di fronte ai suoi come ai nostri occhi, su un piedistallo.

 

10:09:2012

prima pubblicazione festival di venezia  2012

the master

Stati Uniti  2012, 150'

DUI: 03/01/2013

Drammatico