A TEMPO PIENO
di Laurent Cantet
con Recoing Aurelien, Viard Karin, Livrozet Serge, Mangeot Jean Pierre



L’osannato autore di Resources Humaines, che gli è valso i premi di miglior opera Prima all’Amiens Film Festival e Miglior Regista esordiente al San Sebastian Film Festival sbarca a Venezia col secondo capitolo della sua meditazione sul tema del lavoro e del male sociale. L’Emploi du temps si offre infatti come la continuazione di quel percorso avviato dal film d’esordio sulla doppiezza del lavoro come necessità costuttiva e trappola esistenziale al tempo stesso. In una società in cui la produttività economica è misura e valore di tutte le cose, ivi comprese l’amore familiare ed il rispetto, Vincent nasconde ai suoi cari lo smacco umiliante del licenziamento e preferisce inbarcarsi in una doppia vita, frustrante e malinconica, in cui nel week-end è padre e marito modello, fiero nel rinnovato successo professionale e durante la settimana, in barba alla fiducia dei familiari che lo sanno funzionario di una società ginevrina impegnata in consulenza finanziaria ai paesi sottosviluppati, ammazza invece il tempo vagando tra stradelle di montagna, caffè, e vetrate di uffici finanziari dove gioca a fare l’economista. Seduto sui salotti d’ingresso di grossi palazzi aziendali in abiti tirati e gambe accavallate legge i rapporti commerciali e si guarda attorno altezzoso con l’aria fiera di un arrivato, nascondendo a se stesso la tristezza di questo gioco perverso, finchè la diplomazia del portinaio non gli ricorda di essere ospite non autorizzato e neppure gradito.
La febbre del successo e la frustrazione per l’ideale di uno status sociale negato dalla realtà dei fatti lo piombano in una dimensione che si direbbe di schizofrenia clinica, dato che l’illusione della vita fittizia pare vissuta da Vincent con gusto e fierezza come se fosse realmente calato nel ruolo che interpreta, almeno finchè l’imprudente congegno non gli si ritorce contro e lo sbatte di fronte alla gravità del suo stato. E’ allora che inizia a sentire il peso dell’errore, che il suo ghigno infantile è deformato dalla pesantezza di un groppo alla gola e gli occhi si gonfiano e si fanno lucidi. Tuttavia, nella insostenibilità del disagio mantiene in piedi il folle inganno, pur di tenere nascosto il suo fallimento. L’affetto dei cari e la prevedibile loro disponibilità a comprendere il suo male non valgono ad abbattere quel muro comunicativo che Vincent ha edificato a protezione della sua dignità, ormai affetto dalla convinzione che la garanzia di uno status economico e sociale sia requesito imprescindibile per il diritto al calore domestico.
Liberamente tratto da un fatto di cronaca, L’Emploi du temps spoglia la vicenda ispiratrice del finale tragico (la strage dei familiari che scoprono la beffa) per rendere il personaggio più vicino alla normalità e concentrare l’attenzione sulla contraddittorietà di una impalcatura sociale dove il valore del lavoro viene a dettare i parametri cui riferire la propria identità. Una messa in scena austera ed essenziale che nulla concede né a vezzi stilisitici né a esagerazioni melodrammatiche, ma si snoda nella semplicità rigorosamente realistica di un dramma tutt’altro che eccezionale e in lunghe sequenze in auto dove, nella solitudine del tempo rubato alla vita, Vincent batte le strade di una civiltà di cui vorrebbe esser parte e alimenta l’inganno del suo sogno malato.

Voto: 26/30

Mirco GALIE'
05 - 09 - 01


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