“Cerca di pensare un po’ a te stesso” dice
il procuratore distrettuale al giovane avvocato arrivista il quale risponde,
ormai in fase di conversione, “l’ho già fatto per troppo tempo”. Dopo la
crisi di coscienza di Keanu Reeves ne L’AVVOCATO DEL DIAVOLO, è il turno di
un altro avvocato pentito del proprio cinismo e della manipolazione della
verità dei fatti. I suoi ravvedimenti incominciano a venir fuori dopo
l’incontro/scontro con Thomas Crawford, alias sir Anthony Hopkins, un
magnate dell’aeronautica che ha scoperto la relazione extraconiugale della
moglie con un poliziotto ed è accusato dell’omicidio della moglie. Il duello
tra i due, che potrebbe avere i connotati di sfida intellettiva come ne IL
SILENZIO DEGLI INNOCENTI tra Hannibal Lecter e Clarice Starling, ma anche
tentativo di umiliazione dell’avversario come in SLEUTH, presenta dei buoni
spunti, che vengono purtroppo banalizzati nei già visti alterchi in aula di
tribunale o nella sala dell’interrogatorio.
La svolta originale del plot narrativo arriva quasi all’inizio del film,
quando agli occhi dello spettatore, il protagonista, che aveva firmato la
propria confessione di colpevolezza dell’omicidio della moglie, non aveva
più via di scampo e riesce invece a far decadere tutte le prove contro di
lui grazie a dei cavilli legali; il pubblico ministero si troverà quindi a
ricominciare tutto daccapo, sfidando le proprie capacità, il sistema
giudiziario e mettendo a repentaglio una brillante carriera che aveva
faticosamente e fraudolentemente conseguito. Quest’ultima risulta proprio la
parte più debole del film, perché è eccessivamente repentina la mutazione
dell’avvocato che fino ad allora, almeno per quanto ci è dato sapere, non si
era mai fatto troppi scrupoli, mentre ora sembra volere a tutti i costi
assicurare alla giustizia una brillante mente criminale, rischiando il
licenziamento dal prestigioso studio legale in cui era truffaldinamente
riuscito ad entrare. Uno scatto di moralità dettato forse più dalla volontà
di togliere quel ghigno dall’espressione di Hopkins, che ormai fa venire in
mente Hannibal qualunque ruolo si trovi ad interpretare, che dalla volontà
di una giustizia giusta. In ogni caso il regista Hoblit ci ha spesso
abituato nei suoi precedenti film a narrazioni ricche di suspance e di colpi
di scena come in SCHEGGE DI PAURA e IL TOCCO DEL MALE, ma che non forniscono
un approfondimento psicologico adeguato al materiale trattato.
Una lettura disincantata del film non può comunque non apprezzare la
tensione crescente, i colpi di scena che accompagnano la visione fino ai
titoli di coda, l’ottima scenografia che utilizza la casa del ricco
protagonista come metafora della costruzione di un piano perfetto ma che,
osservata attentamente, rivela sempre qualche imperfezione.
Voto: 20/30
15:11:2007 |