STORYTELLING
di Todd Solondz

Palma d'oro, intanto, ai titoli d'apertura: schermo diviso in due zone a dimensione variabile/tonalita' cromatiche in continuo cambiamento/nomi e credits a sinistra e a destra della linea verticale di demarcazione. Non sara' Saul Bass, ma comunque un piccolo capolavoro minimalista.
L'ottimismo declinante di una societa' progressiva in disfacimento, e' raccontato attraverso una narrazione che va lentamente assumendo i toni della farsa e quindi della tragedia.
Solondz costruisce il film su due piani: quello della fiction e quello della nonfiction [da cui anche i titoli dei due episodi, anche se il primo funge da preludio a quello successivo]. Ma e' l'intera operazione che lavora alla apparente contrapposizione tra anelito creativo e orrore della piatta, inerme quotidianità del reale, partendo da un corso di scrittura creativa e arrivando all'idea, maggiormente sviluppata, del documentario sulle frustrazioni degli studenti americani in procinto di iscriversi al college.
Solondz evita l'introspezione psicologica, devitalizzando ogni eventuale insorgere di pathos, e dando vita ad un cinema della crudeltà, che si astiene da giudizi sommari sui mostri che ritrae e da qualunque somministrazione di antidoti etici alla disperazione.
Una non-scrittrice in erba, lasciata dal ragazzo handicappato [cripple], si fa portare a letto dall'insegnante di colore e viene costretta ad una semi-violenza durante la quale deve urlare "fottimi, negro" [parte prima]; una famiglia simil-Happiness mette in scena il teatrino di rapporti interpersonali, e razziali, agghiaccianti o nulli, passando in breve tempo dall' odio alla tragedia, mentre un altro cripple passato attraverso patetici fallimenti in serie ne riprende i componenti con videocamera digitale [parte seconda].
L'atto creativo - scrittura, documentario - che pensa di indagare la realtà per sublimarla o superarla, in modo da scartare di fronte ai mostri che incontra, e' destinato al fallimento. Nel secondo atto assistiamo ad una tragicommedia, che fa il verso, acidamente, ad AMERICAN BEAUTY, venata com'è di humor color pece. Gli spettatori ridono, ma in realtà si sta ragionando d'altro.
Solondz fa uso di un'ironia caustica nei confronti del presunto realismo del Dogma, di BLAIR WITCH PROJECT e persino dei documentari del Sundance Film Festival [!!!], tutti direttamente tirati in ballo, che condanna un cinema incapace di rappresentare la realtà in maniera, al contempo, fedele e interpretativa, contestuale e indagatrice, presente ma distaccata. Alle fughe del cinema di fantasia, il regista non preferisce di certo film come quello ultrapremiato di Sam Mendes e infierisce grandiosamente sulla scena, da minimalismo epico, del sacchetto danzato dal vento, che tante anime semplici ha commosso e, pensa un po', ha portato a ragionare.....

Voto: 29/30

Gabriele FRANCIONI
06 - 01 - 02


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