Palma
d'oro, intanto, ai titoli d'apertura: schermo diviso in due zone a dimensione
variabile/tonalita' cromatiche in continuo cambiamento/nomi e credits
a sinistra e a destra della linea verticale di demarcazione. Non sara'
Saul Bass, ma comunque un piccolo capolavoro minimalista.
L'ottimismo declinante di una societa' progressiva in disfacimento, e'
raccontato attraverso una narrazione che va lentamente assumendo i toni
della farsa e quindi della tragedia.
Solondz costruisce il film su due piani: quello della fiction e
quello della nonfiction [da cui anche i titoli dei due episodi,
anche se il primo funge da preludio a quello successivo]. Ma e' l'intera
operazione che lavora alla apparente contrapposizione tra anelito creativo
e orrore della piatta, inerme quotidianità del reale, partendo da un corso
di scrittura creativa e arrivando all'idea, maggiormente sviluppata, del
documentario sulle frustrazioni degli studenti americani in procinto di
iscriversi al college.
Solondz evita l'introspezione psicologica, devitalizzando ogni eventuale
insorgere di pathos, e dando vita ad un cinema della crudeltà, che si
astiene da giudizi sommari sui mostri che ritrae e da qualunque
somministrazione di antidoti etici alla disperazione.
Una non-scrittrice in erba, lasciata dal ragazzo handicappato [cripple],
si fa portare a letto dall'insegnante di colore e viene costretta ad una
semi-violenza durante la quale deve urlare "fottimi, negro" [parte prima];
una famiglia simil-Happiness mette in scena il teatrino di rapporti interpersonali,
e razziali, agghiaccianti o nulli, passando in breve tempo dall'
odio alla tragedia, mentre un altro cripple passato attraverso
patetici fallimenti in serie ne riprende i componenti con videocamera
digitale [parte seconda].
L'atto creativo - scrittura, documentario - che pensa di indagare la realtà
per sublimarla o superarla, in modo da scartare di fronte
ai mostri che incontra, e' destinato al fallimento. Nel secondo atto assistiamo
ad una tragicommedia, che fa il verso, acidamente, ad AMERICAN BEAUTY,
venata com'è di humor color pece. Gli spettatori ridono, ma in realtà
si sta ragionando d'altro.
Solondz fa uso di un'ironia caustica nei confronti del presunto realismo
del Dogma, di BLAIR WITCH PROJECT e persino dei documentari del Sundance
Film Festival [!!!], tutti direttamente tirati in ballo, che condanna
un cinema incapace di rappresentare la realtà in maniera, al contempo,
fedele e interpretativa, contestuale e indagatrice,
presente ma distaccata. Alle fughe del cinema di fantasia, il regista
non preferisce di certo film come quello ultrapremiato di Sam Mendes e
infierisce grandiosamente sulla scena, da minimalismo epico, del sacchetto
danzato dal vento, che tante anime semplici ha commosso e, pensa un po',
ha portato a ragionare.....
Voto: 29/30
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