Dotato di un cast invidiabile, di una fotografia patinata e di una regia
abile e spregiudicata, Slevin –
Patto criminale sembra tuttavia essere privo di quel soffio vitale
che anima i grandi film d’intrattenimento.
Slevin, un giovane che sembra essere perseguitato dalla sfortuna, arriva a
New York per fare visita ad un suo amico e finisce per essere coinvolto in
una faida fra due potenti capi della malavita newyorkese. Per un caso
apparentemente fortuito il ragazzo viene scambiato per il suo amico Nick
Fish e si trova così trasportato nei sofisticati quartieri generali del
Boss, un Morgan Freeman che ha visto tempi migliori, e del Rabbino, un Ben
Kingsley che domina l’obiettivo, che risiedono in due attici che si
fronteggiano e si scrutano al centro di New York.
In questi ambienti minimalisti appare a tratti un’ombra misteriosa, Mr
Goodkat, un sicario di grande prestigio la cui funzione rimane oscura fino
alla fine del film.
A complicare il tutto ci si mette anche la polizia, in questo film goffa e
indefinita come non mai, che tiene d’occhio Slevin e cerca di capire il
ruolo del nuovo arrivato. Per di più c’è Lindsey, la giovane appassionata di
misteri che vive accanto a Nick , che irrompe nella vita di Slevin e si
offre di aiutarlo a risolvere il caso della scomparsa del suo amico.
Chi è veramente Nick? E cosa ci fa Slevin a New York? E chi è il misterioso
Mr. Goodkat? Nel corso del film il mistero si infittisce per poi risolversi
in una conclusione inaspettata.
è difficile definire a che
genere appartenga questo film che si trova a metà fra i poliziotteschi alla
tarantino, il noir e l’action movie più scontato. Ad ogni modo, qualsiasi
sia il genere a cui appartiene, si tratta di un film piuttosto deludente. Di
certo non è la storia il suo punto forte, solita commedia degli equivoci in
cui un povero malcapitato si trova coinvolto in una storia più grande di lui
e mostra di avere risorse inaspettate. Un peccato che sarebbe del resto
perdonabile se solo il film fosse dotato di quel ritmo narrativo che salva
molti film mediocri dal baratro dell’oblio, donandogli perlomeno una certa
vitalità. Innumerevoli sono i tempi morti in cui la storia si trascina, in
questo caso non giustificabili in virtù di alcuna necessità artistica.
Per di più la psicologia dei personaggi è appena sfiorata e, in virtù del
mistero che ammanta ciascuno di loro, il film finisce per non darci alcuna
coordinata sulla loro personalità. Persino Slevin, il personaggio principale
che dovrebbe catalizzare l’attenzione degli spettatori, sembra essere privo
di ogni tratto caratteristico. Furbetto ma non troppo, onesto ma non troppo,
a metà fra l’uomo della strada ed il modello d’alta moda, quello di Slevin è
un personaggio assolutamente piatto.
Paradossalmente tutti gli altri personaggi eccetto lui non solo sono
spiccatamente caratterizzati, ma finiscono per cadere nella macchietta.
Gli scagnozzi un po’ tonti che ci ricordano altri mille film già visti, la
loquace Lindsey, modello della donna del nuovo millennio che non si perde in
chiacchiere o in inutili sentimentalismi, che tuttavia rimane a sua volta
piuttosto insignificante. Persino i due vertici da cui parte questo giro di
vite sembrano ammazzare il tempo nelle loro prigioni di cristallo, ed il
faccia a faccia che nelle intenzioni dello sceneggiatore sarebbe dovuto
essere memorabile, risulta piuttosto noioso e a tratti quasi ridicolo a
causa del goffo tentativo di farsi male a vicenda.
è indicativo che il
personaggio più riuscito sia quello di Bruce Willis, un’ombra priva di
tratti salienti che rischia quasi di spiccare fra l’uniformità generale.
Un capitolo a parte lo richiedono i dialoghi.
è evidente il tentativo dello
sceneggiatore di costruire un impianto dialogico divertente e brillante alla
Die hard, ma, eccetto le
battute di spirito che, a loro volta, difficilmente strappano più di una
risata a denti stretti, il resto della sceneggiatura risulta banale ed
insignificante. Inutili i momenti che strizzano l’occhio all’action movie:
esplosioni e sbudellamenti che non hanno pietà dello spettatore nella loro
banalità e ripetitività. In tutto questo caos si finisce per dimenticarsi
che questo, come ogni film d’azione che si rispetti, è anche un film d’amore
in cui le tante peripezie dell’impavido eroe sono tutte finalizzate a
proteggere la donna amata e a farne la propria compagna.
Il tentativo di reclamare un’eredità tarantiniana è evidente nei primi dieci
minuti del film, senza poi lasciare traccia nel suo svolgimento successivo.
Sangue che schizza da tutte le parti, plotoni d’esecuzione alla
Le Iene, sesso privo di ogni
sentimento e corse dei cavalli: tutti gli ingredienti del film di genere che
tuttavia sembrano avere del referente solo l’apparenza e non lo spirito.
Unico revival nella parte centrale è il momento in cui Bruce Willis sferra
due pistoloni per freddare le sue vittime, una scena che si richiama a vari
film di Tarantino, che tuttavia farebbe bene a lasciare in pace.
La regia di Paul McGuigan è uno dei pochi aspetti che si salvano del film,
anche se indulge troppo nella schizofrenia visiva e nei colori pop che
sembrano essere divenuti marchio di fabbrica di un certo cinema giovane di
cui Romeo and Juliet di Baz
Luhrmann si è fatto apripista. Ottima è senz’altro la scenografia del film,
fatta di interni patinati e carte da parati geometriche e dai colori a
contrasto. Peccato che la storia non giustifichi questo ambiente vagamente
vintage, visto che i personaggi sono completamente calati nella realtà
contemporanea. L’impressione finale è che il film si nutra di riferimenti e
finisca per rimanerne affogato, incapace di trovare una propria personalità.
La confusione generata dalla non linearità della narrazione e dalla
complessità della storia sembra aver causato ai personaggi ed alla storia un
carattere di indefinitezza e vaghezza che mal si sposa con un film il cui
intento dovrebbe principalmente essere quello di intrattenere.
Quello che bisogna senz’altro riconoscere ai suoi realizzatori è senz’altro
la grande ambizione, che li ha portati a credere di poter segnare un nuovo
capitolo della cinematografia contemporanea con quella che sembra essere
stata la carta vincente degli ultimi capolavori, ovvero il miscuglio di
stili. In realtà questo tentativo di far convivere più anime nello stesso
film non fa che relegare la pellicola in un limbo narrativo. Quella degli
attori sarebbe potuta essere la carta vincente del film, un cast di ottimi
interpreti che però non danno il meglio di se, forse soccombendo ad una
direzione ancora troppo inesperta. Il concept del film ci ricorda quello di
Ocean’s eleven di Sodemberg,
ovvero mettere assieme il maggior numero star con il minimo budget
possibile, ma purtroppo le due pellicole sembrano condividere, oltre alla
genesi piuttosto fortuita, anche la noia che le caratterizza.
Questo film ci dimostra che non bastano una regia psichedelica, citazioni a
tutto spiano e una manciata di grandi attori per realizzare un capolavoro.
Speriamo che sia d’esempio anche per i suoi successori.
Voto: 22/30
30:07:2006
la conferenza stampa |