SIGNS
di M. Night Shyamalan, con Mel Gibson, Joaquin Phoenix

SIGNS, Segni, ovvero i cerchi del grano. Che cosa sono? Mistificazioni di burloni o veri e propri messaggi da alieni? Nel terzo film di quella che potremmo definire la “Trilogia del Soprannaturale”, M. Night Shyamalan ci fornisce una spiegazione a riguardo: si tratta di segnali – delle vere e proprie indicazioni di rotta – creati da alieni e rivolti ad alieni. In pratica Night Shyamalan riprende la vecchia idea dell’invasione della Terra da parte di ET incazzatissimi, ma riesce a trasformarla completamente. Ecco perché SIGNS sta a INDIPENDENCE DAY come THE TESTAMENT stava a THE DAY AFTER.
Graham Hess (un intenso Mel Gibson) è un ex pastore protestante che ha perso la Fede e abbandonato la tonaca dopo la morte violenta della moglie. Accudisce i suoi due figli con l’aiuto di suo fratello Merrill (interpretato da Joaquin Phoenix, ma forse sarebbe stato meglio fratellastro o figlio maggiore vista la differenza di età - uno dei pochi appunti da fare alla pellicola) fino a che, una mattina, un elaborato disegno appare nel campo di grano della sua fattoria. Seguono delle misteriose visite notturne finché dopo decine e decine di Segni in tutto il mondo, cominciano ad arrivare i primi dischi volanti: quello che sembrava nato come un assedio invisibile, si trasforma così in un vero e proprio attacco alla razza umana - e il principale punto di forza della pellicola è a mio avviso proprio questo: la totale mancanza di effetti speciali, se si esclude l’alieno del finale. Shyamalan preferisce suggerisci l’arrivo degli extraterrestri, mostrandoci delle luci ferme nel cielo notturno in un telegiornale che riprende in diretta l’evento (“La Fantascienza sta diventando realtà”, commenta eccitato lo speaker). Il regista indiano non ha scelto la via (banale) della spettacolarizzazione. Le notizie arrivano alla famiglia Hess attraverso una piccola Tv e una vecchia radio: un filmato amatoriale trasmesso durante un’altro servizio televisivo ci mostra, per la prima volta, uno degli alieni. La radio trasmette le testimonianze dei sopravvissuti e prima, quando l’invasione vera e propria sta per iniziare le trasmissioni Tv vengono sospese: “E’ iniziata,” capisce l’ex pastore Hess. E noi con lui.
La genialità di M. Night Shyamalan è tutta qui: l’evento che cambierà la Storia dell’Umanità è vissuto attraverso il dramma personale di Mel Gibson/Graham Hess. Ed è proprio perché l’invasione aliena non passa per scelta registica da esplosioni e spettacolari battaglie, che la pellicola risulta ancora più angosciante e claustrofobica, la tensione palpabile - grazie anche alla quasi totale assenza di colonna sonora a commento. Gibson interpreta un uomo annichilito dal dolore che si ritrova ad affrontare qualcosa più grande di lui, senza neppure più la speranza nella Fede.
Come nei due film precedenti, dove Bruce Willis interpretava un uomo incapace di affrontare la verità (della propria morte nel SESTO SENSO, di un dono quasi divino in UNBREAKABLE), anche in questa pellicola il protagonista è a suo modo estraneo alla realtà in cui vive. SIGNS non è perciò il film sui cerchi del grano, come potrebbe apparire dal trailer, ma qualcosa di diverso: è la storia di un uomo - non un uomo qualunque, un uomo di Dio – che a causa di un avvenimento tragico ha perso la Fede e che grazie ad un avvenimento eccezionale (ma anche qui, non un miracolo, piuttosto una sequenza fortunata di eventi che porta ad una rinascita – di chi, non ve lo dico - come una sequenza sfortunata di eventi aveva portato ad una morte) la riacquisterà. Nessun colpo di scena finale come nelle pellicole precedenti, piuttosto una (ri)conquista: il pastore Hess riprende l’abito talare, gli incubi ricorrenti probabilmente svaniti. Ma la vita, comunque si sia conclusa la vicenda, non sarà più la stessa.
Shyamalan (che nel film si ritaglia una particina facile da individuare) ha a mio avviso mantenuto le promesse, realizzando forse la migliore delle tre pellicole di questa “Trilogia del Soprannaturale”: un film intimo, che fa veramente paura, e non annoia mai. Quasi un documentario, che non ci racconta il Prima, se non in flashback, e si interrompe al Dopo.
Nessun colpo di scena, sarà uno dei prossimi blockbusters.
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Voto: 30/30


Matteo Feruglio
04 - 11- 02


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