IL SESTO GIORNO
di Roger Spottiswoode
con Arnold Schwarzenegger, Robert Duvall, Michael Rapaporte, Tony Goldwyn, Michael Rooker e Taylor Anne Reid



Varcate le soglie del 2000 e alla luce di taluni più o meno recenti fatti di cronaca la mostruosa macchina imprenditoriale di Hollywood non poteva mancare l'appuntamento con il tema della clonazione, un tema che non solo è particolarmente caldo, dibattuto, e sentito, ma che soprattutto offre una grosso potenziale per lo sviluppo di elucubrazioni fantascientifiche e fantasociologiche. Se da un lato le applicazioni della ingegneria genetica suggeriscono all'immaginario spettacolari visioni iper-tecnologiche e agevolmente si asservono alla costruzione ideale di mondi degenerati e mostruosi, dall'altro, di rimbalzo, porgono materia prima per un ritorno morale e sentimentale del racconto. Infatti la genetica si colloca come un punto di svolta nel cammino evolutivo della cultura occidentale: i percorsi apparentemente divergenti della ricerca scientifica e del pensiero filosofico vengono qui ad impattare e si frangono in una confusione di interrogativi e paure. In essa vengono a confluire due mostri sacri dell'antica dialettica tra spiritualià, morale, per non dire religione, e pensiero positivista: da una parte il sogno dell'uomo di non essere più soltanto veicolo biologico di propagazione della vita, ma anche sommo artefice e creatore della stessa, capace di scavalcare il limite dell'immortalità; dall'altra il terribile presentimento che la liquefazione dei limiti spaziali e temporali della morte, ormai unica certezza dell'esistenza, possa nullificare il valore delle relazioni affettive e delle esperienze emozionali autentiche.
Del resto l'entusiasmante fascinazione del progresso tecnologico e il terrore di un suo riflesso degenerativo e disumanizzante sono due aspetti contrapposti che appartengono organicamente alla fantascienza come genere, essendone forse il principale punto di forza. Per tutti questi motivi il genere è stato ampiamente praticato ed abusato; da esso sono sorti prodotti di qualità alta che, per il loro carattere pioneristico o per esiti formali particolarmente felici, pur in una indubbia diversità hanno segnato la strada maestra (METROPOLIS, BLADE RUNNER, 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO, SOLARIS, DUNE, FINO ALLA FINE DEL MONDO, ecc…), altri nei quali la cifra dignitosamente spettacolare prevale su quella intellattualistica (GUERRE STELLARI, E.T., JONNY MNEMONIC, MATRIX, ecc…) ed immancabilmente molti altri che appaiono come tentativi più o meno rispettabili di sfruttare la scia dei modelli commercialmente più riusciti, saccheggiando gli stilemi di una formula di successo: effetti speciali in dosi massicce, storiella sentimentale e riscontro moralistico di sicura presa.
IL SESTO GIORNO appartiene a questa terza categoria senza neppure spiccarne particolarmente. La storia è informata alla variante forse più abusata della formula: lo scienziato cattivo che pretende la scienza asservita ai suoi deliri di onnipotenza; il supereroe bello, simpatico e coraggioso, che lotta per la sua donna, o sua figlia, o la sua famiglia, o l'umanità, non fa differenza; l'idea che la scienza può essere utile ma anche pericolosa; e soprattutto il messaggio di conforto che vede i sentimenti sopravvivere e prevalere su qualsiasi conquista tecnologica. Il finale, al solito, è quello che favorisce l'immedesimazione del pubblico medio al protagonista e la partecipazione al godimento di oltraggiare un presuntuoso cattivone, il cui ruolo metafilmico è quello di evocare lo spauracchio di un annichilimento dei valori affettivi.
I riferimenti sono numerosi, ma dipanarne l'intrico mi pare fuori luogo e francamente molto poco interessante, data la mediocrità del materiale di cui si tratta.
La base pseudo-scientifica su cui si regge l'impianto narrativo è abbastanza sgangherata: i cloni prefabbricati con l'aspetto di embrioni giganti maturano in copie perfettamente funzionanti nel giro di due ore attraverso un procedimento di simil-morphing; il complesso di informazioni neuro-chimiche che definiscono l'anima dell'individuo vengono trasmessi attraverso il nervo ottico; tutte queste belle trovate paiono un tantino incoerenti con quelle che sono le regole più elementari della genetica e della fisiologia, tanto da sollevare il sospetto che chi ha partecipato alla stesura del soggetto non fosse molto ferrato in materia.
La storia si sviluppa, come è prevedibile, attraverso sparatorie, inseguimenti, esplosioni, acrobazie, battute umoristiche che decorano atti di coraggio, colpi di scena, ecc.., ecc.. ecc..; L'inverosimile fa parte del gioco, anche se non sarebbe sgradita la finezza di esibirlo in modo meno sfacciato. Meno prevedibile è l'esito finale della vicenda: una volta che i due cloni sono diventati amici e con successo hanno lottato per la stessa causa, ci si aspettava che il clone copia realizzasse l'incompatibilità della propria esistenza con quella dell'originale, e sacrificasse la propria vita per non essere d'inciampo ai suoi rapporti affettivi e sociali, come il "terminator" che si fonde nel magma incandescente perchè conscio di costituire un pericolo per il genere umano…. invece il doppione se ne va per mare, forte e fiero della sua umanità bellamente dimostrata sul campo, diretto non si sa verso quale destinazione, per vivere non si sa in che modo.
Lo stile di ripresa ed il montaggio sono i classici del genere "action" dell'ultima generazione: inquadrature sghembe, linee inclinate, primi e primissimi piani, ritmo serrato, attenta cura ad evitare come il veleno le panoramiche e i piani-sequenza: quelli giustamente lasciamoli a chi crede nel valore simbolico dell'immagine.
Rimane l'indiscutibile virtuosismo degli effetti speciali, che colpiscono soprattutto nelle sequenze introduttive e benchè non distinguono particolarmente questo film da tutti gli altri della sua stessa specie, confermano comunque l'entusiastica laboriosità di una scuola di professionisti dall'abilità ormai consolidata e dal talento in continua evoluzione.

Voto: 20/30

Mirco GALIE'
17 - 08 - 01


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