“Quello che state per vedere è un film brutto” dice Romeo spendendo poche
parole prima della proiezione. E l’annuncio non è certo uno dei più
confortanti dato che ci aspettano 122 minuti di pellicola. In realtà
l’impressione che si ha quando scorrono i titoli di coda è di non riuscire a
darne una definizione. E’ un film che si propone un obiettivo smisurato:
raccontare un’esistenza straordinaria come può essere quella di un mito come
Sellers. Raccontarne cinematograficamente il lato umano e realisticamente
quello artistico. Raccontare l’esistenza di un uomo privo di un contorno,
esistente soltanto nei panni irreali di personaggio. L’uomo Sellers privo di
cuore, privo di sensibilità, uomo-bambino eternamente nelle braccia
dell’enorme madre, che distrugge a calci i giochi di suo figlio, che
candidamente confessa alla figlia di volerle bene, sì, ma non tanto quanto
ne vuole a Sophia Loren. L’attore straordinario e talentuoso, dapprima
snobbato per la scarsa avvenenza poi osannato per il suo istrionismo, le sue
doti di improvvisatore. Il Dottor Stranamore, l’uomo dai mille volti cui si
aggrappa anche fuori dal set per conservare una consistenza, una qualsiasi
forma di cui è privo una volta tolto il trucco di scena. L’unica maniera di
vivere per non soccombere alla propria inconsistenza, per non dover fare i
conti con essa, è quella di entrare nei panni altrui. Non solo in quelli dei
suoi personaggi, ma in quelli delle persone che lo circondano, specie di chi
lo ha messo al mondo, realmente o cinematograficamente. E Sellers è suo
padre, sua madre, Sellers è Blake Edwards, amato e odiato, in un perenne
stridere di sentimenti, intrappolato in un’emotività senza freni, convinto
che tutto gli sia concesso non per presunzione o superbia, ma perché un
bambino deve essere al centro del mondo, perché le sue esigenze devono
essere soddisfatte, perché ad un bambino tutto si può perdonare. Geoffrey
Rush è bravo nel prestare il suo corpo e il suo volto a Sellers, a
restituirne movenze e smorfie, a costruirne una maschera tragica nella sua
fragilità immensa di uomo. Le due ore del film scorrono, non si può dire
sempre piacevolmente ma scorrono. Ci sono smaccate esagerazioni, una
biografia dovrebbe forse avere almeno in parte il sapore della quotidianità,
della banalità. Qui tutto è finzione, tutto è grandeur, dalle case
alla bellezza delle donne ai dialoghi sempre sopra le righe agli scatti
d’ira, ma forse è un gioco voluto. Tutti i personaggi sono esagerati,
caricati, tutti recitano il loro ruolo nel film della vita di Peter: Edwards
con la sua stazza e i suoi occhialoni da sole, la Loren divissima e
ammiccante, perpetuamente inguainata in abiti da gran sera, Kubrick
tenebroso e inquieto, Britt Ekland algida e bellissima. Tutti incarnano alla
perfezione il loro personaggio, quello che il filtro dello schermo ci ha
lasciato, come un precipitato chimico. Nessuno è persona, carne e ossa,
tutti sono fantasmi, tutti hanno la consistenza di ombre cinematografiche.
In questo senso il film è riuscito. Ma non ci chiedete un voto perché non lo
sapremmo dare. Bello, brutto, riuscito o meno? Se come è annunciato da tempo
il film uscirà nelle sale italiane lasciamo a chi lo andrà a vedere
l’ingrato compito di definirlo. E una volta che ci sarete riusciti, fatecelo
sapere.
Voto:?
20:07:2005
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