la pelle che abito
di Pedro Almodovar
con Antonio Banderas, Elena Anaya

di Alessandra Cabassi

 

28/30

 

Da quando sua moglie è morta, bruciata in un incidente d’auto, il dottor Robert Ledgard, eminente chirurgo plastico, ha lavorato alla creazione di una nuova pelle con la quale avrebbe potuto salvarla. Dodici anni dopo riesce a coltivarla nel suo laboratorio, una pelle sensibile alle carezze, ed insieme un’autentica corazza contro tutte le aggressioni, sia esterne che interne, delle quali è vittima il nostro organo più esteso. Oltre agli anni di studio e di sperimentazioni Robert aveva bisogno di una cavia umana, di un complice e di nessuno scrupolo. Gli scrupoli non sono mai stati un problema, non facevano parte del suo carattere. Marilia, la donna che si è occupata di lui dal giorno della sua nascita, è la più fedele delle complici, non gli verrà mai meno. E per quanto riguarda la cavia umana…

Ogni anno scompaiono di casa decine di giovani di entrambi i sessi, in molti casi per volontà propria. Uno di questi giovani finisce per condividere con Robert e Marilia la splendida villa, El Chigarral. E non di sua volontà.

 

LA PELLE CHE ABITO: già dal titolo abbiamo la sensazione di qualcosa di distaccato, estraneo. Un dentro e un fuori che non hanno nulla cui spartire. Noi spettatori compartecipiamo a questo scontro fin da subito. “Abitiamo” all’interno del film alla continua ricerca della sua vera pelle, della verità, e proprio quando pensiamo di averla trovata sbattiamo addosso a un colpo di scena (e ce ne sono tanti) e siamo costretti a ricominciare.

Siamo vittime (come i protagonisti) del gioco che Almodovar ci cuce (letteralmente) addosso. L’autore disegna, distrugge, ricuce, strappa e modella una realtà in continua mutazione, che noi possiamo solo osservare. Così come i protagonisti si osservano, spiandosi tra loro.

Si sa, all’autore piace prenderci in giro con il cinema stesso. Il suo metacinema è più che mai vivo in questo film; ci lega ai protagonisti mettendoci davanti allo stesso schermo, ci imbroglia con visioni della realtà che poi realtà non sono. Ci fa montare e smontare mentalmente il film, rendendoci parte integrante del meccanismo cinematografico.

Almodovar ci accompagna continuamente a spiare - un po’ torbidamente - i suoi personaggi; Vera in primis, ma anche Marilia, Robert e Norma, sua figlia. Personaggi classicamente almodovariani: pazzi, turbati, viscidi, psicotici, spioni, spiati. Insomma umani. (Ma molto meno umanizzati rispetto ai suoi precedenti lavori). Gli occhi di Vera (la splendida Elena Anaya) confondono sempre. Banderas VESTE bene i panni del dottor Robert, in un ruolo e in uno stile che non si proponeva di affrontare da tempo, mentre rimane un po’ privo di significato, o forse troppo poco approfondito, il ruolo di Marilia (Marisa Paredes) la domestica di “El Chigarrall”.

La dicotomia è la base di tutto il film. Fisicamente: la creazione-lacerazione epidermica, sessuale, sartoriale. Mentalmente: buono-cattivo, la malattia, il tempo. Visivamente: schermi, finestre, specchi, quadri e maschere. è tutto spaccato in due, film compreso.

Lo spunto di riflessione nasce proprio da questo sdoppiamento, il doversi specchiare, guardarsi per assicurarsi di esistere. Un io-interiore che guarda un io-esteriore, in questo film sempre opposto e nemico. C’è chi da quel riflesso si lascia sconfiggere e chi lotta per far emergere il proprio sè. Proprio per questo anche noi, nel tentativo di capire la vera natura dei personaggi, ci domandiamo a cosa questa sia dovuta, se alla mente o al corpo. Questo il motivo per cui, a mio parere, il film merita di essere visto.
 

08:11:2011

la piel que habito

Regia Pedro Almodovar
Spagna 2011, 117'

Warner Bros. Pictures Italia

DUI: 23/09/2011

Drammatico