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Diciamocelo.
Quando l'Oriente chiama è impossibile non rispondere, anche se il film
ha più di quarant'anni e la tv l'ha già masticato più volte fino a svilirlo
con note di palinsesto assurde o inesistenti e orari di trasmissione più
che notturni. E' per questo che, avuta l'occasione di conoscere dell'esistenza
della retrospettiva "Out of Shadows": Asians in American abbiamo per una
volta snobbato i film in concorso e ne siamo yukuai… La vecchia 35 mm
diretta da Richard Quine accarezza le sagome e le setose sembianze dell'allora
esordiente Nancy Kwan, la prima attrice di Hong Kong a lavorare a Hollywood.
William Holden è l'artista poco bohémien (il completino in seta grezza
è in perfetto hollywood style fashion e la gelatina non scompone mai il
genio!) che cerca la sua musa in una casa d'intrattenimento-albergo dove
forse il domicilio non è così costrittivo…ed eventuale. Ma si deve leggere
tra le righe per urtare la sensibilità del regista nel trattare certi
delicati argomenti dell'America perbenista e in doppio petto. Il mestiere
raccontato è proprio quello più vecchio del mondo ma lo sfondo di miseria
e di etiche appiattite da ideologie coatte al servizio di business dal
muso bianco trasforma quello che noi definiremmo "il pretesto" cinematografico
in primaria esigenza narrativa. Quello che conta insomma è capire come
si vive nella Cina colonizzata di fine anni cinquanta e la catastrofe
naturale che segna l'epilogo del lungometraggio porta via anche l'ultima
speranza di riscatto e di una vita civile e dignitosa. Prodotto dal colosso
Paramount il film ebbe un discreto successo appena uscito nelle sale e
noi oggi aggiungiamo plusvalore per il semplice gusto di un cinema ritrovato.
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Sandra SALVATO |
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