MEMORIAS POSTHUMAS
di Dario Itzfeld

Raccontare 64 anni di vita nel Brasile tra '700 e '800 è operazione perlomeno inconsueta anche nella cinematografia carioca o paulista. Ricordiamo solo alcune pellicole passate alla Mostra del Cinema di Venezia dal 1995 in poi, basate sulla ricostruzione più o meno "filologica" degli eventi relativi ad una fase di post-colonizzazione. In questo caso, invece, si è optato per un registro leggero e sognante, caro a molta letteratura sudamericana, da Marquez alla Allende.
L'esistenza dongiovannesca di un nobile in bilico tra sensualità e inettitudine, ma privo di quella sete di conoscenza che identifica in Casanova l'icona del secolo dei Lumi, viene seguita attraverso continui ed esilaranti flashback e flashforward, che comunque non ci impediscono di individuare una chiara struttura bipartita [periodo europeo, o della "formazione", e periodo brasiliano, del fallimento e della non scelta].
Il film si organizza attorno ad una sorta di teatro delle disgrazie umane, principalmente sentimentali, dove l'unico insegnamento è quello che porta all'adozione di una feroce autoironia come schema d'approccio alla quotidiana miseria. Il protagonista da morto, irrompendo sulla scena e, col suo intervento, congelando l'azione in una serie di divertentissimi tableaux vivents, ci guida lungo una via crucis infinita di corteggiamenti e seduzioni abortite, all'interno della quale va forse vista la chiave di lettura di un film, che non risparmia le debolezze e i tic di una cultura spesso intorpidita o immobile, nella compiaciuta contemplazione di un "Mondo Nuovo", dove la vera colonizzazione avviene al contrario e, sotto forma di bellezza della Natura, intacca l'impianto razionalistico dell'Europa trapiantata oltreoceano.

Gabriele FRANCIONI
06 - 01 - 02


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