LA FE DEL VOLCAN
di Ana Poliak
con Jorge Prado e Monica Donay



L'intera opera racconta di una lunga, interminabile conversazione tra un arrotino ed una ragazzina di strada, che fa vari lavori per sopravvivere. I due rappresentano il passato ed il presente dell'Argentina. Il vecchio arrotino vive con il ricordo degli orrori, delle stragi, della dittatura. La giovane non sa nulla di tutto questo, ma avverte chiaramente un peso che la schiaccia, che opprime la società che le sta intorno.
Si tratta di un film sicuramente molto sofferto. La regista Ana Poliak ha iniziato sei anni fa a lavorare alla sceneggiatura, con l'aiuto del collaboratore Willi Behnisch.
LA FE DEL VOLCAN non è un film facile da vedere: un ritmo lento, fatto di lunghi momenti di conversazione e pochissime azioni decisive; una trama quanto mai frammentata e non sempre sequenziale, ma condotta piuttosto attraverso le esperienze di vita dei due protagonisti; lunghe e quasi snervanti inquadrature fisse, movimenti di camera lenti e molto ponderati; un montaggio non sempre esplicito, con addirittura qualche sequenza di montaggio analogico che, ad un occhio non attento potrebbe risultare un passaggio difficilmente comprensibile; i dialoghi, vero asse portante di tutta la vicenda, non sempre aiutano nella comprensione di quel che sta succedendo, ma spesso sono metafore di una situazione che sta al di sotto dell'evidenza e dell'immediatezza. Tutte queste caratteristiche fanno di LA FE DEL VOLCAN un'opera non commerciale e che probabilmente non incontrerà il favore del pubblico.
Eppure il film resta un lavoro notevole e molto coraggioso, con alti momenti di cinema e sequenze davvero memorabili. Ana Poliak riesce ad esprimere benissimo il senso di oppressione e di crisi che sente attorno a sé, e che, come dichiara la stessa regista, ha accompagnato tutta la tormentata elaborazione di questo lungometraggio.
"La fede del vulcano" significa credere nella nostra forza interiore, che ci permette di liberarci da questo peso: "Ognuno di noi può spaccare le pietre: noi siamo come vulcani, ed un giorno il vulcano erutterà".
La regista argentina sfrutta ottimamente i (pochi) mezzi espressivi a disposizione, per raccontarci non la storia di un arrotino o della ragazzina, ma quella di un intero paese, l'Argentina, in cui i ricordi del recente passato sono ancora fortissimi. La sua stessa storia trova posto all'inizio del film, quando, al termine di una lunghissima inquadratura fissa sul volto di Ana (che così entra in prima persona nel film), vengono pronunciate da una voce fuori campo le parole "Sono su un piano molto in alto, circondata dal vuoto, so che devo saltare, ma non so se saltare dentro o fuori"

Enrico PIRRUCCIO
24 - 11 - 01