K-PAX
di Iain Softley
con Kevin Spacey e Jeff Bridges



Prot (Spacey)  - privo di documenti, barba incolta e occhialoni neri - compare come dal nulla in una stazione ferroviaria, finisce al commissariato per aver prestato soccorso una vecchia scippata e poi sbattuto in una struttura psichiatrica sotto la cura del dottor Mark Powell (Bridges). Si perché Prot afferma di essere un alieno proveniente da K-PAX un pianeta appartenente alla costellazione della Lyrae distante un milione di anni luce dalla terra e di essere giunto sulla terra avvolto da un raggio luminoso - che permette di viaggiare più veloce della luce - in missione esplorativa. Grande divoratore di frutta, parla con i cani, mette in crisi i dottori non reagendo agli psicofarmaci e dimostra di possedere rarissime conoscenze astrofisiche. Ostenta sicurezza, chiama le persone per nome, commenta con dolente ironia le stramberie di cui può essere capace il genere umano, diventa subito la mascotte del reparto psichiatrico ma ha ancora poco tempo. Prot ha deciso infatti che è giunto il momento di tornare sul pianeta di origine, un posto dove si fa parte tutti di una grande famiglia, si va d'accodo e non ci sono crimini, non esiste un governo, non c'è bisogno di leggi né tanto meno di avvocati. Il 27 luglio tornerà a casa ma ha deciso che porterà con se un terrestre; i pazienti del reparto faranno a gara per conquistarsi quel posto mentre il dottor Powell, temendo un gesto inconsulto, lo convince a sottoporsi alla terapia ipnotica dalla quale lentamente emergerà un drammatico segreto. Praticamente la sostanza stava già tutta nel trailer che circola in televisione, il resto è un goffo tentativo di dilatare oltre il dovuto lo spunto iniziale sull'identità di Prot con un meccanico "tira e molla" che ora ci instilla il dubbio (che sia veramente un alieno?) e poi ci riporta sulla terra e così via. Occasione sprecata sia per il cast che per un soggetto che deborda in un  sentimentalismo sbracato e misticheggiante quando vuol essere commedia favolistica (ma la New Age non era passata di moda?) ed è poco convincente quando vira verso il dramma dalle tinte gialle. Stereotipi a manetta sulla classe psichiatrica che ovviamente non sa ascoltare né tanto meno guarire e banalità sull'elogio del folle che non sarebbe un malato ma una persona più sensibile e ricettiva della media, che non va curato con le pillole ma va semplicemente compreso. La scena della sovrapposizione speculare del riflesso di Prot e quello del dottore - curioso rimando cinefilo al Bridges "alieno" di STARMAN - è la cosa migliore del film.


Voto: 15/30

Loris SERAFINO
27 - 01 - 02


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