KITCHEN STORIES

di Brent Hamer

Con: Joachim Calmeyer, Tomas Norström

di Marco GROSOLI

Può darsi che una candidatura all’Oscar per un film così sia un po’ troppo lusinghiera. Tutto sommato però Kitchen stories è meno scialbo di quello che le sue placide ambizioni di esile “cinema medio” farebbero supporre. Lo spunto è accattivante: un villaggio norvegese che negli anni '50 viene invaso da una torma di ricercatori svedesi incaricati di analizzare le abitudini culinarie dei single; uno degli studiosi dopo le prime diffidenze instaura una bella amicizia col single oggetto del suo lavoro. Lo sviluppo è diseguale ma inventivo, vivace. Inizialmente ci illude con un mood inequivocabilmente da commedia garbata, leggera, equilibrata. Poi, ahimé, il tono si arrende a corde prevedibilmente smielate, certo con grazia e pudore, ma sentimentali nel modo più facile.
Resta il fatto che la parte più comica è passabilmente riuscita. Tutto il paradosso della situazione (il ricercatore che spia con imbarazzante ossessività ogni minimo movimento del single appollaiato su un trespolo in un angolo della cucina) viene sfruttato a dovere ma senza forzare. Si avverte un senso della gag interessante, grazie soprattutto al montaggio e all’uso accorto dello spazio che riesce ad “aprire” un set asfittico come la cucina del coprotagonista: il loro uso combinato riesce molto spesso a spiazzare. Il risultato è di discreta efficacia, e dà freschezza a spunti comici abbastanza gustosi.
Hamer conduce il film a pennellate lievi, con mano pacata. Ha il merito di sembrare sempre un po’ in disparte rispetto a ciò che gira; la sua, cioè, è una regia che, più che metterli in evidenza, “addìta” trasognatamente gli elementi che di volta in volta fanno andare avanti il film. Avverte, e riesce ad aggirare, quello che è il rischio principale di film del genere, cioè un’esangue e pallida staticità. Ci riesce rimpolpando il racconto in modo piacevole, anche se costeggiando un po’ il gratuito. Così, non nega spazio a gustose macchiette di contorno (il dottore che fuma, il boss svedese con l’aereo-harem privato eccetera), a divagazioni non strettamente necessarie (la vita schiettamente “da single” del ricercatore stesso, con tanto di modesti pranzi fai-da-te, il cavallo malato, e quant’altro), a tutto quanto possa allegerire e far respirare un film sereno e senza scossoni come questo. Forse anche troppo, dato che lo sbocco tragico (che non sveleremo non per evitare lo “spoil” ma per la sua disarmante pochezza) in cui sfociano le complicazioni dell’intreccio è più ridicolo che altro.
Insomma, a modo suo Kitchen stories fa centro, ha un target medio che raggiunge piuttosto in scioltezza ma senza perdere più di tanto in dignità cinematografica. Ora rimane la curiosità di vedere cosa sarà capace di tirare fuori Hamer da un progetto così lontano da questo come il film su Bukowski che inizierà a girare ad Aprile.
 

DA CANNES 2003 ::: L'Altra Recensione :::
 

Voto: 24/30

12.01.2004

 


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