JOHN Q
di Nick Cassavetes
con Denzel Washington e Robert Duvall



Nel 1963 John Cassavetes diresse un film, uscito in Italia col titolo GLI ESCLUSI, decisamente innovativo, sia per il tema trattato (la rieducazione di giovani handicappati) che per quel particolare modo di girare, che avrebbe fatto del futuro autore di FACES e L'ASSASSINIO DI UN ALLIBRATORE CINESE un maestro insuperato, specie nel suo lavoro con gli attori. Già con UNA DONNA MOLTO SPECIALE - il suo primo lavoro - il Nick Cassavetes, il figlio di John, dimostrò la volontà di mettersi sulla strada paterna affrontando tematiche legate ai rapporti interfamiliari e, in modo particolare, quelli tra genitori e figli. SHE'S SO LOVELY, il film successivo, ha confermato questo proposito, divenuto ormai palese con questo JOHN Q.
Partendo come un racconto di contestazione della situazione sanitaria made in USA, il film si concentra su ciò che un padre può giungere a fare pur di salvare il figlio, non solo dalla grave malformazione cardiaca che gli viene diagnosticata, ma anche da tutta una serie di meccanismi e speculazioni, al cui cospetto il conto in banca è il primo certificato da esibire. Tema forte, senza dubbio, con il rischio però - come spesso accade - che proprio il vigore della componente umanitaria invada lo schermo, sopprimendo le indispensabili componenti di ritmo e stile. JOHN Q. è un film veloce, privo di pause, ottimamente recitato da Denzel Washington, ma non è molto di più. Come dicevamo in apertura, se la forza di John Cassavetes era proprio nella capacità di unire alla rivoluzione del soggetto quella della regia (il suo continuo uso dei primi piani, l'improvvisazione estrema, l'amore per il piano sequenza al servizio della recitazione), qui la mancanza di personalità dietro la macchina da presa è lampante. E non intendiamo affermare che il giovane Cassavetes non sappia fare il proprio mestiere, ma è proprio di questo che si tratta: un mestiere e non di più. Avremmo potuto anche rinunciare al confronto - piuttosto banale e ingeneroso - tra lavoro di Nick e quello di John, ma l'evidente (e non casuale) coincidenza dei temi, la volontà di fare proprie, in qualche modo, le idee del padre (SHE'S SO LOVELY nasceva da una sceneggiatura di Cassavetes sr.) e l'evidente piattezza del film, specie nella sua seconda parte, spingono in questa direzione. Che dire altrimenti di un lungometraggio che chiunque potrebbe immaginare prima di entrare in sala, tanti sono gli stereotipi rivitalizzanti provenienti dal filone tipo UN GIORNO DI ORDINARIA FOLLIA? A differenza del padre, Nick non ha uno stile proprio e - fatta salva la possibilità (da non escludere mai) di forti pressioni esterne - si accontenta di una messa in scena rigorosa ma fredda, accettando soluzioni narrative piuttosto forzate (si veda la prima sequenza e il suo valore all'interno del racconto) e troppi elementi privi di misura (la felicità "morettiana" della famiglia prima della tragedia, il concatenarsi delle avversità e il reciproco verificarsi di fortunate coincidenze nonché qualche "buon consiglio" di vita). Il tutto, ancora una volta, in nome della "bontà" e della correttezza di un tema, affrontato per giunta - nell'anno di Halle Berry e dello stesso Washington - attraverso la vicenda di un uomo di colore.

Voto: 24/30

Andrea DE CANDIDO
11 - 05 - 02


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