L’isola
di Costanza Quatriglio
Con: Veronica Guarrasi, Erri De Luca


L'ISOLA è il primo lungometraggio della regista palermitana Costanza Quatriglio. E' un film che potremmo definire autoctono per i temi, i soggetti che affronta e gli ambienti che descrive. La regista filma una Favignana arida e meravigliosa, da cui è lontano lo spettro del turismo. La pesca del tonno, la mattanza è il tema intorno al quale ruota il film.Il tema della pesca e della vita in mare diventa anche il pretesto per una riflessione sulla vita e, in particolar modo, sulle inquetudini verso il futuro di due adolescenti, che vivono in un mondo fatto di tradizioni; ciò fa uscire il film dai meri confini della sicilianità.
I protagonisti sono sono due fratelli, Turi e Teresa, nati e cresciuti sull'isola, l'uno silenzioso e l'altra con gli occhi luccicanti e pieni di curiosità.
Intorno a loro si muovono il padre, un pescatore che si appresta alla mattanza e che incarna il rigore e la fatica del duro lavoro; la nonna che ricorda costantemente alla nipote (Teresa) di pregare il nonno, perchè in una comunità che vive di riti, il culto dei propri morti è da sempre un segno di grande civiltà.
Le preghiere di Teresa non hanno nulla a che fare con il Padre Nostro o l' Ave Maria, sono fatte di parole semplici che svelano i suoi desideri di bambina; e siccome sono indirizzate al nonno che sta in fondo al mare, Costanza Quatriglio le riverserà, letteralmente, nel mare: la voce sussurrata di Teresa si fa fuori campo in una dimensione over, mentre la macchina da presa si muove tra fondali pieni di vegetazione e, nel suo muoversi lento sembra cogliere la presenza di tutti coloro che hanno perso la vita in questo mare.
Si riconosce una tendenza neorealistica, soprattutto, nella volontà della regista di dare dei momenti e dei personaggi narratati una figurazione genuina, da qui la scelta di adottare il dialetto musicale di Favignana.
Il film pur avendo uno stile scarno e disadorno entra nel dettaglio, non solo visivo, ma anche sonoro. Nella sequenza in cui Turi recita la poesia, la regista si premura di cogliere e amplificare,pure, il leggero schioccare delle labbra.
Il suono è spesso protagonista: anticipa l'immagine successiva e serve da raccordo nel passaggio da un'inquadratura all'altra. Inquadratura del mare: al suono della risacca si sovrappone sempre di più un fruscio,di cui non è inquadrata la fonte, dopo una chiusura in nero, la successiva inquadratura si apre con il dettaglio di una tenda, di un bellissimo color azzurro, che mossa dalle mani di Teresa produce lo stesso fruscio, svelandone la provenienza.
Grande attenzione alla fotografia,affidata a Aldo Marcantonio,il quale riesce a sottolineare e a far brillare i colori( il giallo delle reti,il bianco delle case,il colore del tufo). Il film è molto curato, e, comunque, gli squisiti formalismi cinematografici non raggelano mai il racconto. Ciò è dovuto alla capacità della regista di saper lavorare con degli interpreti bambini .Ottiene una recitazione quantomai spontanea e senza scimmiottamenti, ed è così che Veronica Guarrasi (Teresa),con naturale esuberanza, si può permettere, persino, di rivolgere lo sguardo direttamente alla m.d.p..
Il taglio semidocumentaristico con cui la regista riprende il quotidiano di Turi e Teresa ricorda lo sguardo delicato del Kiarostami di Dov'e la casa del mio amico. Al film si potrebbe obiettare che la storia narrata non ha nulla di originale, l'intento della regista sembra essere, non di raccontarci una storia ma di ragalarci un mosaico di momenti, a cui è sempre possibile aggiungere un'altra tessera, infatti, non vi è neppure la pretesa di dare un the end chiuso e conclusivo al film.
 

Voto:29/30

Irene LO BIANCO
13 - 06 - 03
 

Difficile non lasciarsi tentare. Si potrebbe infatti cominciare questa recensione giocando appunto col titolo: L’isola… isola (che non c’è) del cinema italiano? Oppure il concetto isola inteso come genere cinematografico grazie al successo improvviso e inaspettato – e a mio modesto avviso meritato! – di Respiro? Rimandiamo queste analisi – peraltro succulente! – e concentriamoci invece sin da subito sul film L’isola, esordio di Costanza Quatriglio, diplomatasi nel 1999 alla Scuola Nazionale di Cinema e con una lunga esperienza di cortometraggi e documentari alle spalle. Come Visconti e Flaherty insegnano, vera protagonista anche di questo film, che potremmo con tutta tranquillità definirlo un docufiction, è la natura. L’uomo è una semplice incombenza, un cameo, spesso dal linguaggio incomprensibile (nel film della Quatriglio parlano tutti un dialetto siciliano molto stretto). Questa koinè orale sottolinea la volontaria estraneità dello spettatore nei confronti di alieni che vivono in un mondo alieno, ben lontano cioè dalle cartoline turistiche di tristi impiegati che inviano a tristi colleghi il loro divertimento per posta come rivalsa sociale ed esistenziale (ah!… il turismo di massa!). A rompere questa alienazione tra spettatore e documentario è una bambina – l’unica umana del film! – di nome Teresa che gioca spesso col fratello Turi più grande e più introverso. Teresa ha dieci anni e vorrebbe fare il pescatore come il fratello, mentre Turi si sente sempre più inadeguato alla pesca. Questa è l’esilissima trama di due fratelli che s’intreccia con la vita dell’isola: il lavoro, la fatica, i rituali e le abitudini dei pescatori. Non solo: nelle intenzioni di Costanza Quatriglio l’isola è anche l’insieme delle reti che compongono il corpo della tonnara, le numerose camere che portano i tonni a rimanere imprigionati dentro la camera della morte, prima di essere arpionati dalle braccia forti dei tonnaroti; l’isola non è solo un luogo circoscritto per i soli pescatori, ma anche per veri e propri detenuti che vivono nel carcere scavato nel tufo e recintato dal cemento. Molto più vicino a Tornando a casa che non a Respiro, L’isola è un esempio lampante di un cinema italiano che ricerca ossessivamente le proprie radici nobili (in questo caso il neorealismo viscontiano) senza mai raggiungerle nella sua messa in scena. Il risultato è che si fatica spesso a trovare e a scovare un’idea di cinema: troppo per un documentario e troppo poco per un lungometraggio di finzione. Non si tratta soltanto di rappresentare un condensato di realtà, un neo-neorealismo, né basta il sorriso in primo piano di una bambina… il tutto potrà commuovermi, beneficiarmi in un hic et nunc... un’epifania del momento, ma di certo non si riuscirà a uscire da quel viatico vizioso che è la fiction televisiva, per quanto travestita da documentario, da favola poco surreale e molto realista (sta qui lo scarto con l’inarrivabile Respiro). Si tratta, soprattutto, di elaborare uno speciale tessuto di relazioni simboliche fra sfondi sociali e figure in primo piano; di modo che la focalizzazione ravvicinata sul soggetto ne mostri l’inadempienza tragica fino al grottesco (Muccino e Virzì, almeno tecnicamente, lo hanno raggiunto)… è questo un modo per sfuggire dalla televisività. Altrimenti, per quanto interessante, L’isola piacerà più all’estero – non a caso è stato presentato nella sezione de Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2003) – perché visto come noi vediamo il cinema iraniano… cioè non capendo niente, confondendo silenzi, campi sequenza insostenibili per folklore drammatico. Esterofilia autoriale? Colonialismo pseudo-culturale? Di questo passo siamo prossimi a considerare cinema pauperistico anche la soap "Un posto al sole".


Link: http://www.lisolafilm.com


Voto:20/30

Domenico MONETTI
12 - 06 - 03


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