Forse
oggi il sistema per sfruttare diverse formule sicure, ma proprio per questo
a rischio di noia, è quello di legarne le radici e - in termini
più strettamente cinematografici - fondere i generi da cui provengono.
HARVARD MAN, che segna una nuova continuità produttiva nel cinema
di James Toback (l'anno scorso, proprio qui a Torino, avevamo visto il
suo BLACK & WHITE) è, da questo punto di vista, un lavoro esemplare
ed un esempio perfetto. Per commistionare i filoni serve, prima di tutto,
un grande lavoro in fase di sceneggiatura: il film è ambientato
ad Harvard (college movie: amori, apparenze da conservare, segreti tollerati)
e proprio dalla storia tra la più classica delle cheerleader e
il capitano della squadra di basket prende il via un apparente intreccio
da film gangster. Soldi e ragazze (sintetizzati alla perfezione in una
delle inquadrature centrali): elementi - come insegna molto cinema all'AMERICAN
PIE o, per altri versi, THE SKULLS - che funzionano sempre, ma che difficilmente,
da soli, bastano a fare qualcosa capace di più profondo di PORKY'S.
Ma fare i soldi facili non è possibile, causa FBI, anche se tutti
hanno un vizio, polizia compresa, e per evitarne le conseguenze anche
la legge ha un peso piuttosto relativo. Toback, allora, ha calato nel
suo mondo fatto di donne meravigliose (insegnanti e poliziotte incluse)
e ricerca di un successo rapido, una vicenda che - come molte altre pellicole
di AMERICANA (FAUST di Yuzna, il Ferrara di 'R-XMAS, HEDWIG di Cameron
Mitchell) e della retrospettiva ROMERO - si basa in fondo sull'ossessiva
ricerca di un vita diversa, migliore, da parte dei protagonisti o, in
sintesi, di una seconda identità. Un percorso che poi giunge anche
a percorrere strade da commedia pura, nel momento in cui il giovane Alan
Jensen sceglie un quanto mai improbabile ricorso a dosi massicce di LSD
(altro tema ricorrente, almenop nella versione USA del Torino Film Festival),
aprendo la strada ad un uso semplice (economico) e funzionale di un effettistica
deformante (alla PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS), chiave delle sue soggettive
su un mondo che, in fondo, appare non molto più distorto di quanto
non sia in realtà.
E' un cinema, questo, che con difficoltà troverà da noi
uno spiraglio distributivo (BLACK & WHITE ha trovato, solo da poco,
un ritaglio DVD) ma che in fondo, crediamo avrebbe non poche possibilità
di raggiungere un certo pubblico, proprio in ragione della capacità
cui facevamo cenno di reinventare alcuni capisaldi, senza tuttavia rinunciare
ad una certa ricerca testuale e soprattutto visiva.
Voto: 28/30
|