HAPPY END
di Jung Ji-woo

Il tema della violenza repressa come scatto finale di un mancato processo di elaborazione del rapporto di coppia, inteso come sofferta opposizione di aree emotive o bianche o nere, torna spesso a segnare drammaticamente le pellicole incentrate sulla matrice universale dei drammi privati. La tendenza alla rimozione del dolore intesa come capacità di produrre un vuoto nell'anima, genera esiti inattesi per lo spettatore occidentale medio, sia da un punto di vista etico-filosofico, che sotto l'aspetto eminentemente estetico, nel senso di contrapporre involontariamente premesse narrative e sviluppi a-logici secondo uno schema ricorrente, basato su presentazione di caratteri e tipi passivi da una parte, e personalità dominanti dall'altra, laddove non avviene mai l'innesco dello scontro tra le due tipologie umane. Il marito inetto preferisce non vedere e assiste inerme al crollo del teatrino familiare delle false certezze, collezionando un rosario di allucinanti frustrazioni e violenze subite dalla moglie in carriera, più giovane e bella, che saltella tra ufficio, bebè e appartamento dell'amante-web. Nulla accade se non sotto la superficie. L'ambientazione claustrale, tra ballatoi disegnati dalla freddezza dei neon, uffici-loculo, trilocali voglio-ma-non-posso dentro residence piccolo-borghesi [il film è girato quasi tutto in interni], è il compendio a un trattamento chiuso della materia narrativa. Lo sguardo del regista si muove come un intruso entro questi spazi, macchina a mano e, talvolta, occhio dogmatico, affidando ad essi, e qui sta il maggior pregio del suo lavoro, il ruolo di veri protagonisti. Stupenda, a questo proposito, l'intera sequenza del ritorno a casa dopo l'assassinio della moglie: l'accecante evidenza del dramma consumato, sta tutta nei dettagli dell'arredo, ancor più grigio e privato di luce, nella m.d.p. posta a livello del pavimento, intenta a riempirsi del vuoto che è stato prodotto dalla nuova assenza di una persona. 

Voto: 27/30

Gabriele FRANCIONI
04 - 01 - 02


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