Grigio.
Good Night and Good luck è un
film grigio.
Grigio come la sintesi del bianco e nero della pellicola scelta, grigio come
le parole sbiadite dagli anni che separano l’oggi del regista dal ricordo
del 1953, grigio come l’approccio di chi sa avere e sostenere una visione
del mondo alternativa al dualismo radicale.
Grigio è lo
stile del montaggio, volutamente retrò,
come la tecnica di narrazione, fattuale e rigorosa, in ordine
fondamentalmente cronologico, se escludiamo la chiosatura circolare che
unisce inizio e fine inscrivendo la dieresi in una struttura circolare.
E grigia è la modalità di approccio al messaggio. Il plot ruota attorno al
personaggio di Edward R. Murrow (David Strathairn), figura cult del
giornalismo americano agli albori della televisione, e ne segue di pari
passo l’accesa dialettica che lo vede protagonista durante l’apice del
maccartismo. Murrow, nonostante i preludi della caccia alle streghe del
senatore Tom Mc. Carthy (Palmer Williams) non si fa intimidire e anzi ne
approfitta per gettare un po’ di benzina sul fuoco…ma la sfida di
Good night Good Luck va ben
oltre gli intenti di un ‘biopic’, evidentemente osando l’obiettivo di
attaccare il bersaglio del potere mediatico della televisione senza cadere
vittima degli stessi vizi. Ecco forse una ragione in più di una scelta
registica così rigorosa da essere al limite dell’asetticità.
Il grigio dei colori richiama il ricordo di un’epoca che appartiene ai
ricordi d’infanzia del regista e attore e va di pari passo con un montaggio
retrò. La fotografia riflette i toni di una narrazione senza pathos. Ma
tutto questo sembra rispondere a ben precise motivazioni che vanno ben oltre
una pura questione di scelta stilistica.
Se da un lato infatti la pellicola e il montaggio insieme all’andamento
della narrazione vogliono riportarci nel vivo del 1953, il fatto che il film
sia così apparentemente scevro di impatto emotivo sembra aver a che vedere
con un più ambizioso obiettivo comunicativo: l’asetticità si contrappone a
una retorica che sfrutta la paura, come il grigio è la terza via non
inesplorata in chi impone al suo pubblico la rigidità dell’aut aut. Lo stile
grigio di Good Night and Good Luck
è in polemica con chi per convincere accende gli animi, nel nome di un
valore dell’informazione e del rigore dell’argomentazione in un’epoca in cui
si sfrutta la paura per schierare le idee. In altri termini è un attacco a
un certo tipo di propaganda ben teso ad evitare di assumerne i vizi. E il
grigio è anche in polemica con chi impone divisione e esclusione, grigio
come la posizione di chi sa avere e mantenere una visione alternativa alla
netta divisione del mondo in bianco o nero, di chi di fronte a un discorso
manicheo sa esimersi
dall’aut-aut, prendendo
una posizione di mezzo che rischia la condanna di entrambi gli schieramenti,
col coraggio di mantenere il proprio punto di vista. Perché “inchiesta” è
diverso da persecuzione, come dissenso non significa per forza mancanza di
lealtà, come tra il persuadere e il manipolare passa una sottile quanto
sostanziale differenza.
In questo senso il grigio perde allora la connotazione di retrò per
diventare attuale: se il programma di Murrow vuole mettere in guardia
l’opinione pubblica dalle discutibili tecniche investigative di Mc Carthy,
Clooney vuole fare riflettere sui rischi della comunicazione mediatica e
forse mettere in guardia rispetto a un certo tipo di abuso della
comunicazione. Insidiosità della tecnica investigativa va di pari passo con
la tendenziosità degli argomenti, in un’epoca che non sembra poi così
lontana dalla nostra, quanto al panorama politico americano degli ultimi
anni, basti pensare alla decadenza che sembra attraversare la retorica
politica contemporanea, in preda al fascino degli artifici pubblicitari e
nelle mani della bomba mediatica.
Un film così apparentemente retrò diventa allora stilisticamente tanto più
attuale, ora che il realismo è passato di moda, l’oggettivismo non è più una
criterio plausibile e anche un genere come il documentario, che per
eccellenza sarebbe deputato all’aderenza fattuale perde ogni ambizione al
realismo a favore di una rivisitazione che sempre più porta a confondere i
limiti tra realtà e rappresentazione. Un film così di primo impatto scevro
di impatto emotivo diventa allora intelligentissimo in vista della
profondità del messaggio.
Se poi pensiamo alla posizione “dietro le quinte” di Fred Friendly (George
Clooney), quasi sempre di spalle, al limite dei criteri classici della
fotografia di scena, il grigio sta anche a rappresentare la classe del
regista attore che si ritaglia un ruolo allo stesso tempo cardine rispetto
al plot (direttore del giornale) ma di minima presenza scenica rispetto alla
realizzazione.
Quel grigiore, che forse disturba il fruitore più empatico, alla luce delle
implicazioni viste rispetto alle esigenze del messaggio, in seconda analisi
va a costituire non solo una possibile chiave di lettura ma anche la classe
di livello del film.
Voto: 28/30
05/09/2005
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