FAUSTO 5.0
di Isidro Ortiz, Alex Ollè, Carlos Padrissa
con Miguel Angel Solà, Eduard Fernandez, Najwa Nimri

In ogni nascita è implicita una morte. Il desiderio, sostrato sui cui binari corre la pulsione della vita, può guidare verso aperture terribli se sfugge al controllo della ragione, ma l’utopia di un dominio della ragione sul desiderio è un debole tampone alla brutale realtà delle cose, all’idea, cioè, che il potere della ragione sia irrimediabilmente schiavizzato dal potere di seduzione malefica, arbitraria, terrificante di un oggetto che, senza preavviso e senza giustificazione, si fa desiderare. In questa libera interpretazione cinematografica del famoso dramma di Goethe il dott. Fausto, specialista in medicina terminale, durante un congresso incontra Santos, un sinistro perosonaggio che dice di essere stato suo paziente, di aver subìto la rimozione del fegato otto anni prima e di essere sopravvissuto contrariamente al pronostico del medico che lo dava spacciato entro tre mesi. Santos guiderà l’illustre scienziato in un viaggio surreale e lo traghetterà in territori di incubo e di paura che sembrerebbero lynchiani. E’ il solito dramma della lotta non ancora risolta, nel nostro occidente malato, tra intelletto e istinto, tra civiltà e natura, tra autocontrollo costruttivo e potenza devastatrice della pulsione emozionale, ma Fausto 5.0 sembra gestire in modo geniale la retorica della viaggio all’inferno tipico di queste trattazioni, tanto sul piano narrativo quanto su quello estetico-formale. Il ritmo è tanto incalzante da non annoiare ma il montaggio realizzato con finezza chirurgica lo rende spontaneo e non forzato. Il plot è intrigante, intenso quanto basta per solleticare la suspance, incoerente quanto basta per veicolare oltre i limiti della storiella ben raccontata e attivare il congegno irresistibile di una esperienza audio-visiva di grande efficacia. L’elaborazione fotografica è tenuta su toni elevatissimi, con colori intensamente lividi, istantanee di grande eleganza e forza espressiva (meravigliosa la sequenza che scorre tra le celle della prigione), inquadrature azzeccate, primi piani drammatici, panoramiche, prospettive vertiginose dall’alto o dal basso, squarci di violenza materica che inghiottono nel gorgo dell’orrorre, esibiscono oscenità rivoltanti, mescolano piacere sessuale, estetica dei sensi, volgarità di carni squartate, autopsie e escrementi e, senza debordare nella gratuità dello splatter, rendono tutta la impellenza di una carne pregna di languido malumore. L’arte chirugica si confonde con la volgarità di bassi istinti nei discorsi ai tavoli del ristorante dove le "irriverenti" disquisizioni tra gli eminenti dottori si sovrappongono alla chiassosità istrionica dei cabaret. A tratti gli autori dispiegano il loro talento registico innestando la marcia dell’iperbole visiva in sequenze virtuose, con dissolvenze e sovrapposizioni, immagini aggressive, urla ed estetiche pscichedeliche che farebbero invidia ai tecnofili d’oltreoceano.
La svolta risolutiva di un recupero dell'equilibrio emozionale e della liberazione dalla ossessività del desiderio sembra affidata sul finire della storia alla riscoperta, o forse al riconoscimento fino ad allora negato, del sentimento per Julia, una figura assolutamente delica, quasi mistica (sembrerebbe una Madonna), dal tono di voce tenero e pacato, dai costumi rigidi e sommessi, che arrossice le Fausto le getta l'occhio nella scollatura,  diligente e serenamente fedele alle regole. Forse per prevenire le esizizioni bizzarre e perniciose del desiderio occorre assecondarlo, talvolta, non forzarlo nelle presse del dovere e dell'autolimitazione produttiva, ma riconoscerlo come impulso necessario, che sta prima e sta sopra alle sovrastrutture, solo secondariamente funzionali, della civiltà. Con Fausto 5.0 Carlos Padrissa e Alex Ollè, rispettivamente fondatore e membro della nota compagnia teatrale catalana La Fura dels Baus, sotto la guida del virtuoso regista televisivo e pubblicitario Isidro Ortiz, qui alla sua seconda esperienza cinematografica, approdano molto felicemente al cinema con questa performance che sembra assai coerente col loro dogma di coinvolgimento del pubblico in un turbinio di percezioni sensoriali.

Voto: 28/30

Mirco GALIE'
30 - 08 - 01


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