Il biopic sembra essere sempre più di moda
in America e il regista Gorge Hickenlooper si cimenta nella biografia della
musa di Andy Wharol: l’attrice Edie Sedgwick.
La storia è quantomai nota e narra di come la giovane ereditiera
californiana sia arrivata a New York, abbia conosciuto Andy Wharol e sia
presto diventata un’icona della cultura pop americana.
L’epilogo del film è ovviamente tragico,
infatti si chiude con la sua morte prematura, causata da un’overdose di
eroina.
Fin qui è tutto vero, fatti realmente accaduti. Il problema sorge nel
momento in cui si cerca di capire non solo il personaggio principale ma
anche il suo rapporto con Andy Wharol.
Sembra che il regista pensi che l’artista pop trattasse Edie come uno dei
suoi barattoli commerciali, senza informarsi a fondo sulla ricerca di Wharol.
Viene completamente tralasciata la critica che quest’ultimo fa alla società
americana e lascia intendere che la colpa della fine della protagonista sia
la superficialità dell’artista.. In realtà Wharol vedeva in lei un’opera
d’arte e con lei portava avanti una ricerca della quale conosciamo tutti la
valenza. La causa della morte dell’attrice fu la sua fragilità ed incapacità
di accettare la fine di un periodo ricco e che le regalò un grande successo
(argomento ancora oggi comune ed attuale).
La descrizione dell’attrice, inoltre, mi sembra un po’approssimativa. Alcuni
passaggi fondamentali della sua vita, come le molestie subite in infanzia e
l’esperienza della clinica psichiatrica, vengono solo accennati per favorire
la rappresentazione di un ambiente artistico che si basava sull’uso della
droga. Unico accenno all’arte della Factory si ha quando viene intervistato
il capostipite del movimento, che spiega il loro modo di fare cinema e di
svelarne i meccanismi nascosti.
Per il resto la sceneggiatura racconta le vicende per immagini, fotografie e
scene brevissime; anche la scelta delle citazioni mi sembra un po’ scontata
e di facile coinvolgimento emotivo.
Inoltre, la descrizione di New York mi arriva in modo poco approfondito.
Dov’è tutto il fermento di quegli anni? E le rivoluzioni culturali,
artistiche e politiche? La Grande Mela era una coprotagonista di quel
periodo, non un contorno sbiadito.
Il quadro che emerge della Factory è essenzialmente negativo, cosa che
personalmente non condivido. è
vero che c’era la droga ma non era la cosa principale. Si stava
facendo la rivoluzione della modernità e si sollevavano questioni che ancora
oggi appaiono rilevanti. Questa è la lezione della cultura pop, ma nel film
non c’è traccia di tutto ciò.
Wharol viene descritto come una povera marionetta incapace di provare nulla.
Dov’è la sua follia creativa, il suo genio, la sua fragilità?
La scelta di uno stile che richiami i documentari di quegli anni, mi appare
invece idonea e vincente.
Sembra di vedere un film che sta tra un quadro pop ed un videoclip e la
sensazione che lascia è di assistere ad una mostra di Wharol accompagnato da
Edie.
Buona è anche la colonna sonora che, insieme ad una sofisticata
ricostruzione della tendenza estetica pop, rende il film godibile ma
appesantito da troppe descrizioni di abuso di droga.
07:12:2007
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