da 62ma mostra del cinema di venezia

L'educazione fisica delle fanciulle
di John Irvin
Con Jacqueline Bisset, Enrico Lo Verso

di Federica FERRARI

 

Tratto dall’ultima sceneggiatura di Alberto Lattuada, The fine Art of Love è ambientato in un collegio femminile in Turingia, Germania, ai primi anni del 1900. Dietro l’apparente convenzionalità di un sistema educativo rigido e severo cominciano a intravedersi loschi segreti. Una serie di terribili eventi si evolve rivelando un intreccio di interessi tra la direttrice e il teatro, sotto la connivenza della polizia per il compiacimento della nobiltà. Il film si consuma nell’arco della preparazione del ballo in omaggio al principe, su cui drammaticamente si giocano le illusorie aspettative delle aspiranti principesse…
 

Carico di suggestioni, ma non adeguatamente sviluppate, il film di Irving convince non tanto per il plot, tra il confuso e il fabulesco, quanto per la profondità dei significati simbolici, trasponibili sia a livello psicologico che storico sociale.

In una diversa prospettiva può infatti essere letto in questo senso. Nella Turingia di inizio secolo, i resti sconocchiati di un decadente impero austro-ungarico si difendono dal cambiamento nella conservazione dell’accademia, ma del passato non restano che i rigurgiti più degeneri di uno
status quo che affonda le sue radici nel feudalesimo e si basa ormai solo su ragnatele e compromessi, retto da oscuri e segreti complotti, grazie alla vendetta e alla paura. Vendetta sul più debole di chi in passato è stato sotto il giogo, e paura di subire. Sintomi di debolezza di un impero vacillante come debole è il carattere dei promotori di questo reiterarsi. Perché chi è forte, audace, coraggioso, o anche solo curioso, paga. Ecco come la dimensione psicologica si innesta su uno sfondo storico sociale nel sistema delle rappresentazioni.

Il collegio è il simbolo della conservazione dell’accademia, roccaforte di immobilità, soprusi e segreti. La sua forza sta nell’incomunicabilità con l’esterno, significative in questo senso le figure del guardiano sordomuto e del medico ubriaco. La totale incomunicabilità, coincide con la totale assenza di via di uscita, rappresentata dal cancello. Nulla è di fatto quel collegio se non una prigione, a sua volta simbolo di una visione della vita di un pessimismo disperato, dove non c’è via di fuga, i sogni non sono che illusori, il cambiamento non può essere che in peggio. Della prigione il collegio conserva lo spazio chiuso, recintato, la claustrofobia che si riflette negli altri luoghi dell’ambientazione: la biblioteca, il teatro, il castello, la stessa che si respira negli intrecci di legami sentimentali, nella devianza dei costumi, storicamente legata alla decadenza.

Fa da sottofondo costante un pessimismo radicale, che si manifesta nell’immobilismo del reiterarsi dello status quo, nelle stratificazioni del compromesso, nel ritorcersi del danno subito sull’altro ogni volta peggiorandone l’effetto, nell’impossibilità di qualsiasi cambiamento. Nell’economia delle sorti dei personaggi, l’unica alternativa alla prigione è la morte. All’interno del collegio, chi viene scoperta mossa da passioni sconvenienti, viene tramutata in serva, chi osa sapere, viene lasciata morire, chi tenta la fuga, attaccata dai cani da guardia e poi uccisa con una dose eccessiva di morfina. Unica salvezza la rassegnazione, la docilità, l’annullamento. Ma questa salvezza non è che temporanea: infine la stessa direttrice (Jacqueline Bisset ) cade vittima del suo stesso meccanismo e indotta al suicidio. Il meccanismo si rivela, mietendo vittime, ma permane, apparentemente senza possibilità di mutamento. Del resto anche all’esterno chi cerca di indagare, di ostacolare il reiterarsi del sistema, di opporvisi, viene bloccato sul nascere. E’ questo il caso dell’ufficiale di polizia (Lo Verso), caldamente invitato a sospendere le indagini sotto minaccia di invio in Africa Orientale.

Il dramma incalza scandito da fatali eventi, mentre il segreto prende voce fino all’urlo della prima ballerina stuprata dal principe.

Anche se poche e apparentemente irrilevanti, sono proprio le brevi aperture all’esterno a conferire quel respiro al film diversamente poco significativo. Sono infatti questi riferimenti al contesto storico sociale a calmierare la claustrofobia, la sovrabbondanza di suggestioni, il gusto al limite del compiacimento sadico e il pessimismo a oltranza più fiabesco che verosimile. Ed ecco che allora la vicenda al di là del gusto personale, può avere un senso, stando emblematicamente a rappresentare la resistenza dello status quo, il reiterarsi dei vincoli sociali, la crisi di un sistema basati sulla gerarchia, il privilegio e l’omertà, i rigurgiti delle sue parti più degeneri.

Voto: 25/30

07/09/2005

 

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L'educazione fisica delle fanciulle
T.O.: The Fine Art of Love - Mine Ha-Ha
Regia: John Irvin
Anno: 2005
Nazione: Italia/Repubblica Ceca/Gran Bretagna
Data uscita in Italia: 25:11:2005
Genere: Erotico, Sentimentale