Dagli
albori dello skateboard come sport estremo, surrogato del surf, alla fama
internazionale, la vera vita di tre ragazzi di Dogtown, lurido sobborgo di
Venice, California: Jay Adams (Hirsch), geniale ma insofferente agli
ingranaggi del marketing; Tony Alva (Rasuk), egocentrico ed ambizioso; Stacy
Peralta (Robinson), modesto ed introverso.
Affascinante sul piano descrittivo grazie ad all’ambientazione autentica,
una felice fotografia “anni settanta” di Elliot Davis e una bellissima
colonna sonora con canzoni dell’epoca, il film risulta un piuttosto
inconsistente sul piano drammaturgico-narrativo; lo sceneggiatore Peralta,
infatti, si attiene sin troppo scrupolosamente ai fatti vissuti in prima
persona: per quanto le gesta di questi ragazzi abbiano significato molto
nell’ambito di un certo sport, forse mancava il materiale per farne un film,
ed un piglio più romanzato per una volta avrebbe giovato. Le psicologie dei
personaggi, poi, non sono granché approfondite, ed è difficile appassionarsi
alle loro vicende se si è del tutto estranei all’argomento. Per farsi
un’idea di ciò che è stato l’universo di Dogtown, allora, probabilmente
basta e avanza il bellissimo documentario del 2000 (ma uscito da noi solo
adesso) DOGTOWN AND Z-BOYS, diretto dallo stesso Peralta, in cui, fra
l’altro, è molto meglio delineata la filiazione dello skate dal surf.
Lo stile della già scenografa Hardwick (esordiente alla regia con THIRTEEN),
comunque, rende per una volta funzionale la cinepresa a spalla e gli zoom
forsennati, e alcune sequenze d’azione rimangono nella memoria, come quella
in cui gli skater con il loro seguito di fan attraversano il quartiere
passando da una piscina privata all’altra per esercitarvisi, che evoca
intelligentemente il noto racconto Un uomo a nudo di John Cheever. Il
finale, poi, tocca corde inaspettate.
Voto: 25/30
14:07:2005 |