L'ultimo lavoro cinematografico di Ferzan Ozpetek è
una sorta di sincretica restituzione mistica di una interiorità a
cavallo tra egoismo contemporaneo e altruismo: una giovane e rampante
manager romana (Barbara Bobulova) si ritrova a fare i conti con se
stessa, con il suo passato, e con il fantasma della figura materna - di
cui le è stato taciuto tutto a causa della sua originalità e
sensibilità, che la rendevano il personaggio scomodo della famiglia.
Il film nel suo svolgersi risulta a tratti
teatrale in particolar modo nella scelta luministica, ricca di forti
contrasti tra chiari e scuri, mentre la musica di Andrea Guerra suscita
improvvisi colpi adrenalinici; scene fortemente estetizzanti si
rintracciano nelle sequenze ambientate nell’intatta camera da letto
della madre di Irene scoperta nell’antico palazzo di famiglia, che
diviene lentamente un luogo-guscio entro cui sentirsi accolti, protetti,
condotti, come nel ventre materno. Sono molte le simbologie che Ozpetek
attraverso la sua storia suscita nello spettatore. Alcune sequenze
appaiono estremizzate, così come i comportamenti della protagonista,
quasi a voler simboleggiare che nel paradosso albergano le verità più
profonde, e da cui apprendiamo il seme da cui può germinare un mutamento
fondamentale di rotta.
Il cast, ben armonizzato, apporta alla pellicola una alta qualità di
interpretazione. Le inquadrature che investono i personaggi risultano
indagatrici, perlustrano nell’intimità di un sentimento sprigionato
dall’evolvere degli sguardi, e di nuove sensazioni. Nelle corde
registiche di Ozpetek regna l’attenzione per il sentire umano, per gli
incontri topici di cui la vita può arricchirsi, come quello che avviene
tra Irene e Benny (Camille Dugay Comencini), una misteriosa bambina che
insegnerà alla protagonista la gioia di vivere, ed il senso di carità...
Il regista indaga, mettendoli a nudo, alcuni aspetti della società
contemporanea, immergendola nella poesia del sentimento quale unica
soluzione di sopravvivenza.
Nei suoi film i personaggi percorrono sempre un iter catartico, un
viaggio a ritroso del sé, come quello psicologico condotto della
protagonista, esplicitato dal contesto icono-scenografico, nonché dalle
luci e dai primissimi piani in cui la macchina da presa ne rinchiude i
passaggi espressivi.
Il senso mistico che fa pulsare il “cuore sacro”, è ammantato di
sincretismo religioso, di misticismo, in quanto vi sono una molteplicità
di simbologie religiose provenienti da differenti fedi dell’area
mediterranea, che mescolandosi in un tourbillon, conducono al cammino di
esfoliazione dalle mediocrità di cui ogni giorno ci si veste, e di cui
simbolicamente la protagonista, nei suoi eccessi, si vuole liberare.
Attraverso l’estremizzazione psicologica, dei gesti di autopunizione la
protagonista recupera il proprio equilibrio spesso in bilico nel
misurarsi con le crescenti disparità sociali a cui solo se uniti ed
aperti al prossimo si può far fronte!
Voto: 26/30
15:03:2005 |