“Homo
homini lupus in Los Angeles”, CRASH ripropone l’AMERICA OGGI altmaniano
aggiornato al 2005, con etnie in lotta per la sopravvivenza e la definizione
di nuove gerarchie, dove i neri vengono prima dei gialli, i portoricani
stanno più su e gli altri lavorano negli interstizi della graduatoria
sociale.
Il film corale è ormai un vizio: le linee narrative s’intrecciano, nella
speranza di convincere (confondere?) lo spettatore con la quantità,
piuttosto che con l’approfondimento.
Altro vantaggio: il ritmo sembra sempre alto, ma il montaggio sacrifica
l’epifania del senso in molte scene. Infine: con una dozzina di personaggi,
è fisiologico produrne alcuni necessari (Dillon, Thandie Newton) e altri
disfunzionali (Sandra Bullock, Brendan Frazer).
Lo stratagemma è in uso presso registi quasi-esordienti: a volte funziona
(MAGNOLIA), altre per niente, altre ancora, come per Haggis, solo nei primi
20 minuti.
Si ammicca verso il pubblico smaliziato (i due neri tarantinati della prima
scena, la neve catartica del finale, a mo’ di surrogato delle bibliche rane
andersoniane), pescando nel cinema “cool”, partito indipendente e aspirante
alle grandi produzioni, furbo e insincero.
In questi casi (materia prima rovente, stile da decifrare), o scegli il
taglio spietato, da horrorifico documento del reale - Friedkin di VIVERE E
MORIRE A LOS ANGELES - o il sarcasmo di BONFIRE OF VANITIES (De Palma),
oppure l’esercizio di stile (tutti i nipoti de I PROTAGONISTI, che non era
affatto stiloso come il già citato MAGNOLIA).
Sarebbe meglio concentrarsi sulla narrazione singola (le famiglie di
AMERICAN BEAUTY o THE TENENBAUMS), a patto che l ‘America ne venga fuori a
pezzi, ma fino a un certo punto.
Lo sceneggiatore di MILLION DOLLAR BABY (un “figlio unico” ben riuscito)
vuole tutto e subito, sacrificando il film come manufatto di natura anche
visiva in nome di un “incastrismo” irritante dei piani narrativi.
Ciò che risulta insopportabile in questi casi, oltre al già detto, è la
progettata casualità in base alla quale le stesse cose e persone
ritornano sub specie di Male e Bene a seconda che ci si trovi nella
prima o seconda parte del film.
Nella vita reale può starci che il poliziotto manesco e razzista debba poi
salvare le sue ex-vittime o il buon indiano-pakistano si travesta da
vendicatore bronsoniano, ma non secondo un meccanismo ad orologeria che alla
lunga risulta artefatto e ripetitivo. Troppo presto s’intuisce l’alternanza
di redenzione e caduta che segna le vicende di cui sono protagonisti i vari
personaggi (ne bastavano due, né solo carnefici o vessati, per dimostrare la
tesi secondo cui la metropoli è una giungla multilingue, policroma e
palindroma).
Palindroma, come nei mondi assolutamente reali di Todd Solondz, perché da
destra o da sinistra partendo, dall’alto o dal basso, leggiamo sempre il
“MALE”. Sarebbe ovvio aspettarci un redde rationem conclusivo, un
diluvio di universale condanna, senza assoluzioni. Invece molti nodi vengono
al pettine, c’è qualche catarsi, alcune colpe vengono lavate e gran parte
del cast se ne torna a casa riconciliata con un mondo che ne ridicolizza
paure, tic, vizi. Un mondo complesso, dove è bene abbracciare la povera
filippina e credere nell’esistenza degli angeli per vivere meglio. Ma lo
scandalo, etimologicamente parlando, sta proprio in quella pallottola a
salve, che sostituisce, ribaltandolo, il senso di tragedia radicale della
morte del bimbo in AMERICA OGGI. La fiaba nera diventa qui favoletta, sicché
non possiamo accontentarci di guardare l’epitome della solare e
inattaccabile buona coscienza yankee (il giovin poliziotto biondo come un
putto) mentre uccide casualmente e inutilmente il colored della scena
iniziale.
La regia non propone invenzioni di alcun tipo, distratta com’è dal testo,
pedinato come un segugio e mal servito per eccesso di zelo.
E se l’intento, lodevole, è quello di aggiornare all’oggi lo stato di salute
di una città appena uscita dalla rivolta di South Central (1993, l’anno del
film di Altman), dove fanno la comparsa vagoni, letterali, pieni di
thai-corean-asiatici, che vanno a ingrossare i gironi infernali losangelini,
il risultato è inferiore alle premesse.
Voto: 25/30
18:11:2005 |