CRASH

CONTATTO FISICO

di Paul Haggis
Con Sandra Bullock, Matt Dillon

 

MIGLIOR FILM 2006

di Gabriele FRANCIONI

 

“Homo homini lupus in Los Angeles”, CRASH ripropone l’AMERICA OGGI altmaniano aggiornato al 2005, con etnie in lotta per la sopravvivenza e la definizione di nuove gerarchie, dove i neri vengono prima dei gialli, i portoricani stanno più su e gli altri lavorano negli interstizi della graduatoria sociale.
Il film corale è ormai un vizio: le linee narrative s’intrecciano, nella speranza di convincere (confondere?) lo spettatore con la quantità, piuttosto che con l’approfondimento.
Altro vantaggio: il ritmo sembra sempre alto, ma il montaggio sacrifica l’epifania del senso in molte scene. Infine: con una dozzina di personaggi, è fisiologico produrne alcuni necessari (Dillon, Thandie Newton) e altri disfunzionali (Sandra Bullock, Brendan Frazer).
Lo stratagemma è in uso presso registi quasi-esordienti: a volte funziona (MAGNOLIA), altre per niente, altre ancora, come per Haggis, solo nei primi 20 minuti.
Si ammicca verso il pubblico smaliziato (i due neri tarantinati della prima scena, la neve catartica del finale, a mo’ di surrogato delle bibliche rane andersoniane), pescando nel cinema “cool”, partito indipendente e aspirante alle grandi produzioni, furbo e insincero.
In questi casi (materia prima rovente, stile da decifrare), o scegli il taglio spietato, da horrorifico documento del reale - Friedkin di VIVERE E MORIRE A LOS ANGELES - o il sarcasmo di BONFIRE OF VANITIES (De Palma), oppure l’esercizio di stile (tutti i nipoti de I PROTAGONISTI, che non era affatto stiloso come il già citato MAGNOLIA).
Sarebbe meglio concentrarsi sulla narrazione singola (le famiglie di AMERICAN BEAUTY o THE TENENBAUMS), a patto che l ‘America ne venga fuori a pezzi, ma fino a un certo punto.
Lo sceneggiatore di MILLION DOLLAR BABY (un “figlio unico” ben riuscito) vuole tutto e subito, sacrificando il film come manufatto di natura anche visiva in nome di un “incastrismo” irritante dei piani narrativi.
Ciò che risulta insopportabile in questi casi, oltre al già detto, è la progettata casualità in base alla quale le stesse cose e persone ritornano sub specie di Male e Bene a seconda che ci si trovi nella prima o seconda parte del film.
Nella vita reale può starci che il poliziotto manesco e razzista debba poi salvare le sue ex-vittime o il buon indiano-pakistano si travesta da vendicatore bronsoniano, ma non secondo un meccanismo ad orologeria che alla lunga risulta artefatto e ripetitivo. Troppo presto s’intuisce l’alternanza di redenzione e caduta che segna le vicende di cui sono protagonisti i vari personaggi (ne bastavano due, né solo carnefici o vessati, per dimostrare la tesi secondo cui la metropoli è una giungla multilingue, policroma e palindroma).
Palindroma, come nei mondi assolutamente reali di Todd Solondz, perché da destra o da sinistra partendo, dall’alto o dal basso, leggiamo sempre il “MALE”. Sarebbe ovvio aspettarci un redde rationem conclusivo, un diluvio di universale condanna, senza assoluzioni. Invece molti nodi vengono al pettine, c’è qualche catarsi, alcune colpe vengono lavate e gran parte del cast se ne torna a casa riconciliata con un mondo che ne ridicolizza paure, tic, vizi. Un mondo complesso, dove è bene abbracciare la povera filippina e credere nell’esistenza degli angeli per vivere meglio. Ma lo scandalo, etimologicamente parlando, sta proprio in quella pallottola a salve, che sostituisce, ribaltandolo, il senso di tragedia radicale della morte del bimbo in AMERICA OGGI. La fiaba nera diventa qui favoletta, sicché non possiamo accontentarci di guardare l’epitome della solare e inattaccabile buona coscienza yankee (il giovin poliziotto biondo come un putto) mentre uccide casualmente e inutilmente il colored della scena iniziale.
La regia non propone invenzioni di alcun tipo, distratta com’è dal testo, pedinato come un segugio e mal servito per eccesso di zelo.
E se l’intento, lodevole, è quello di aggiornare all’oggi lo stato di salute di una città appena uscita dalla rivolta di South Central (1993, l’anno del film di Altman), dove fanno la comparsa vagoni, letterali, pieni di thai-corean-asiatici, che vanno a ingrossare i gironi infernali losangelini, il risultato è inferiore alle premesse.
 

Voto: 25/30

18:11:2005

CRASH - CONTATTO FISICO

T.O.: CRASH

Regia: Paul Haggis
Anno: 2005
Nazione: Stati Uniti d'America/Germania
Data uscita in Italia: 11:11:2005
Genere: Drammatico