COSE DI QUESTO MONDO
di Michael Winterbottom
Con: Jamal Udin Torabi, Enayatullah

di Mirco GALIé


Se una delle funzioni dell’arte, o uno dei modi d’intenderla, è la documentazione di aspetti drammatici della realtà, la loro rappresentazione ‘disvelante’ sullo schermo, il lavoro di Winterbottom di certo ci azzecca in pieno. Cose di questo mondo è la cronaca del viaggio di due profughi afgani in fuga dalla miseria verso l’illusione dell’occidente, una odissea zeppa di umiliazioni, imprevisti e vertiginosi avvicinamenti ad un potenziale epilogo tragico. Il racconto è costruito con una abilità registica ed una evidente passione personale che lo rendono coinvolgente ed efficace, perentorio ma non predicatorio. La macchina da presa digitale frenetica ed incollata ai protagonisti proietta lo spettatore dentro la scena; l’abilissimo uso della luce naturale, anche e soprattutto in condizioni per così dire ‘non canoniche’, come nella scena notturna sulle montagne, così come i dialghi in lingua, o meglio in lingue originali, e la scelta di montare seguendo la successione cronologica delle riprese, rendono la storia estremamente realistica, credibile e per questo agghiacciante; la disperazione terribilmente evidente ma non eccessivamente urlata dei personaggi protegge dal rischio di uno scivolamento nel patetico. Tuttavia non si può negare che quando un regista si cimenta nella trattazione di temi così impegnati e sulla bocca di tutti di questi tempi, ha il vantaggio di esporsi ad una critica rammollita dal valore ‘etico’ dell’impegno e spesso gli basta inserire qualche scena d’effetto, come una guardia che ti lascia oltrepassare il confine verso una presunta salvezza se gli regali un walkman, una manica di disperati intombati ai limiti dell’asfissia nel retro di un camion o delle fucilante in notturna, per colpire al cuore e shoccare chi si siede al cinema pensando di trascorrere una serata tranquilla. In questi casi però ciò che davvero fa la differenza tra il buon film/documentario di stampo neo-realista e il capolavoro destinato a sorvolare i ridimensionamenti del tempo è l’analisi critica del fatto, la capacità di sviscerare la vicenda alla ricerca della sua origne storica e, se vogliamo, esistenziale; la capacità, cioè, di darne una lettura aggiuntiva a quella di dominio comune, o almeno di farne conoscere aspetti trascurati. Di storie drammatiche come questa, con tutto il sacrosanto rispetto per il dolore di chi ne è vittima, sono pieni i rotocalchi e le trasmissioni televisive, ed il film di Winterbottom non è nulla di più che una efficace e cinematograficamente evoluta ‘messa in scena’ di questa crudele realtà: non che sia poco, ma non è il massimo. Un film di tutto rispetto, ma se l’orso d’oro a Berlino sia stato meritato o meno dipende, in fondo, dall’idea che si vuole avere di cinema.
 

Voto:27/30

07.07.2003

 


::: altre recensioni :::