codice 46
di Stephen Sommers
Con: Tim Robbins, Samantha Morton

di Riccardo FASSONE


Storia d'amore dai toni onirici quella intrecciata dal prolifico Michael Winterbottom nel suo nuovo lavoro Codice 46, film dalle premesse più che interessanti, che utilizza la fantascienza come sfondo su cui proiettare vicende umane di respiro universale. Tim Robbins (bravo, ma leggermente algido) è un investigatore specializzato in frodi, trascinato dal proprio lavoro in una Shanghai futurista e convulsa; il suo incarico lo porterà ad incontrare Maria (Samantha Morton), piccola truffatrice e spirito nomade, e ad iniziare con lei una relazione inquieta, ostacolata dalle rispettive posizioni sociali e dalla crudele predestinazione cui si è soggetti nel futuro ipotizzato dal racconto. Nell'affrontare la tematica cardine della fantascienza post “1984”, quella, cioè, della limitazione delle libertà personali e della ineluttabile segregazione sociale, il film di Winterbottom predilige un approccio intimista, che riflette, attraverso la storia d'amore tra i protagonisti, sul significato della verità nelle relazioni interpersonali e sul ruolo della memoria come cifra reale della nostra umanità. In un mondo in cui è necessario un passaporto per accedere alle città (e, di riflesso, alla ricchezza), in cui è obbligatorio sottoporsi ad un test di compatibilità genetica (eugenetica?) per poter procreare, l'individuo inteso come essere non riproducibile trova la propria piena espressione solamente nei moti dell'inconscio, nell'istintualità dei sentimenti, dei sogni, del sesso. Prendendo le mosse, dunque, da un presupposto interessante, Codice 46 si scontra con una certa quantità di lacune stilistiche e risente di un montaggio smaccatamente videoclipparo che spezza l'atmosfera ipnotica suggerita da una colonna sonora di gusto post-rock di buona fattura. La regia alterna momenti esteticamente interessanti, come l'ingresso all'alba in una Shanghai spettrale o la lodevole intensità con cui è dipinto il deserto che circonda la città, ad altri piuttosto pretenziosi, a partire dai primissimi piani rallentati che incorniciano il volto dell'efebica Samantha Morton nelle pessime scene di sesso; non aiuta una fotografia “indecisa”, che si lancia in repentini cambi di atmosfera quando una maggiore linearità si sarebbe perfettamente sposata con il ritmo cadenzato della pellicola. Ciò che più delude di Codice 46 è la grossolanità di certe soluzioni di sceneggiatura, che appaiono poco curate, come a confermare la sensazione che Winterbottom abbia voluto costruire una messinscena esteticamente appagante piuttosto che concentrarsi nell'approfondire l'interazione tra personaggi ed ambientazione temporale. La caratterizzazione del near future rappresentato nel film, ad esempio, è buona a metà; il regista convince quando lavora di sottrazione, disorientando lo spettatore, glissando sulle spiegazioni, inserendo elementi destabilizzanti (misteriosi virus che alterano le percezioni, impianti di memoria), ma fallisce nella rappresentazione del meticciato sociale che contraddistingue il suo ipotetico futuro. La “lingua totale” parlata dai protagonisti si riduce ad un bislacco e fastidioso inglese con qualche puntata nello spagnolo (un paio di “dinero” e qualche “te quiero”) ed una manciata di ça va, e l'inserimento di personaggi secondari di ogni razza è un espediente decisamente grossolano. Codice 46, in definitiva, è un film che avrebbe meritato una regia più attenta e sobria, una maggiore attenzione ai particolari ed una certa scaltrezza stilistica che certamente manca a Winterbottom, che da una bella storia distilla un'opera appena sufficiente, pretenziosa ed eccessivamente autoindulgente.
 

Voto: 20/30

17.05.2004

 


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