da 63ma mostra del cinema di venezia

BLACKBOOK

di Paul Verhoeven
Con Carice van Houten, Sebastian Koch

di Taryn NURCHIS


Il nuovo film di Paul Verhoeven si presenta come una sorta di epopea privata ambientata nel drammatico periodo della seconda guerra mondiale. La protagonista, Ellis, è una donna ebrea coraggiosa e bellissima che per sfuggire alle persecuzioni naziste e alla morte si ritrova nei panni di una novella Mata-hari (entrambe olandesi, entrambe con un nome falso, e una ballerina l’altra cantante…), col compito di fare l’infiltrata in un quartier generale dei nazisti. Nel corso della sua missione però la fascinosa intrusa finisce con l’innamorarsi di uno dei capitani nazisti che è costretta a frequentare, rendendo così il suo compito ancor più difficile e complesso.
Il film quindi va configurandosi come una vicenda di spionaggio che trova il suo punto di vista narrativo nei luminosi occhi azzurri della protagonista, anche se poi, di fatto, le vicende personali di Ellis non vengono enfatizzate in modo eccessivo, (e fortunatamente verrebbe da dire, poiché sarebbe stato davvero troppo semplice in un contesto del genere) ma più che altro, vengono sfruttate come cursore trainante dell’azione, lasciando perciò uno spazio adeguato allo svolgersi della storia la quale, nonostante la lunghezza e la forzatura di alcuni escamotage narrativi, è senz’altro il punto forte della pellicola.
Il regista infatti riesce a tenere vivo l’interesse dello spettatore evitando fino all’ultimo di sciogliere l’intrico di delazioni e tradimenti che costituisce l’intreccio del film; al contrario, man mano che la storia procede, lo rende sempre più fosco e imprevedibile grazie agli sviluppi sentimentali tra i vari personaggi.
Si tratta in definitiva di un film godibile e non scontato (concede anche alcuni momenti umoristici), che riesce ad evitare le banalità e che anzi sa far riflettere sulla labile linea di distinzione che c’è tra vittime e carnefici; poiché, come dovrebbe già esser noto, a rendere corrotto o crudele un individuo non è certo la sua appartenenza ad una fazione piuttosto che ad un’altra, bensì la sua appartenenza al genere umano, genere per propria natura imperfetto. E probabilmente non c’è contesto migliore di quello bellico – un contesto estremo, di emergenza - per far venir fuori da un essere umano “il suo lato oscuro”: la violenza, la crudeltà, l’animalità, la follia; la bassezza appunto. Verhoeven questo lo sa, e nel suo film non esita a mostrarlo. Così vediamo sì spietati nazisti sparare a raffica sugli indifesi, ma vediamo anche spietati cittadini che una volta liberati agiscono con l’impulso delle bestie, dandosi alle pubbliche torture dei “nemici” e ribaltando barili di letame sulle donne; e vediamo donne che si vendono ai nazisti per vivere nell’agio, o uomini che vendono ai nazisti la loro collaborazione per avere del denaro. E poi c’è chi continua a lottare, che di certo non se la passa meglio, fingendosi morto dentro una bara per passare un confine, o dipingendosi il pube per ingannare le SS.
E di questa bassezza umana se ne rende presto conto anche la protagonista del film che, non a caso, dopo aver guidato il pubblico in questo scorcio di storia senza commentarlo ma solo passandoci attraverso, finisce in un kibbutz a fare l’insegnante, probabilmente grata e cosciente più di chiunque altro della fortuna di essere lì.

Voto: 25/30

09:09:2006

 

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Zwartboek
Regia: Paul Verhoeven
Olanda 2006, 135'
DUI: 02:02:2007
Genere: Drammatico, Storico