LE BICICLETTE DI PECHINO
di Wang Xiaoshuai



La Cina che ti aspetti, quella di un mondo lavorativo basato sul concetto primario di possesso della sacra bicicletta; la Cina che non ti aspetti, che continua ad accumulare premi ai maggiori festival internazionali. Locarno, Venezia, Berlino: riconoscimenti giustificati a volte, obbligati altre, meno convincenti altre ancora.
Il Gran Premio della Giuria non trascura questo "remake" inconscio [almeno così ci ha detto il regista in conferenza stampa] di LADRI DI BICICLETTE, solo più asciutto, meno parlato, meno emozionante. Nel dedalo di strade pechinesi, dove l'epifania di un sorriso è legata esclusivamente all'improvvisa occasione lavorativa o ad apparizioni femminili che sanno peraltro solo devastare il precario equilibrio di adolescenti senza futuro, la gerarchia sociale si organizza sul possesso di un mezzo di locomozione più o meno ricercato, aggiornato, inutilmente bello [I ragazzi di strada] o essenziale e utile [il proletariato, I nullatenenti]. Il mestiere della consegna dei pacchi richiede veloce superamento di distanze, sulle quali calcolare il proprio destino: riesci nell'incarico e sei salvo, tardi anche di poco e puoi perdere tutto. Una bici viene rubata al protagonista, postino, e l'episodio scatena la ricerca affamata di un mezzo analogo, da sottrarre ad altri. Ma quella rubata è altrettanto essenziale alla sopravvivenza di un altro perdente: un giovane studente appena iniziato alla speranza di poter amare ricambiato. Ma se la bici non ce l'hai, vieni letteralmente "asfaltato" dalle psicologie massicce e rozze di rivali imbattibili, quali i capobanda di gruppi di mountain-bikers dediti a virtuosismi ammazzatempo ai bordi della ferrovia, con contorno di belle liceali senza cuore. Il postino, pestato dagli amici dello studente in più occasioni, alla fine conquista l'amicizia di questi, convinti dalla sua "buona fede" e dall'urgenza materiale. I due fanno a turno nell'uso del mezzo, ma nel frattempo, nella depressa fase solo "pedonale", la fanciulla promessasi allo studente è già sulla sponda eccitante del capobanda tatuato, che in gerarchia è al top, avendo una mountain-bike ultimo modello che doma con forza virtuosistica.
Il testimone del dramma in agguato, quindi, passa dall'una all'altra mano, sullo sfondo di irrisolti problemi familiari.
Vendette, gesti assoluti e non meditati, rincorse e pestaggi segnano la fine di una storia ricca di potenzialità, almeno sulla carta. Ma la mancanza di complicità "patetica" con le vittime del quotidiano orrore [dovuta anche all'interpretazione più o meno convinta da parte dei due ragazzini, paradossalmente anch'essi premiati come migliori esordienti] e l´osservazione distaccata da parte dell'occhio del regista, contribuiscono ad allontanarci da una materia - almeno - psicologica nella quale vorremmo buttarci con partecipazione altrimenti commossa.
La sostanza narrativa del racconto viene fatta decantare un po' troppo, al punto che piacciono solo i momenti di sospensione e di rallentamento semi-onirico staccati dal meccanismo complessivo [che tale, poi, non è], che sono i brevissimi stacchi in cui una maliziosa presenza femminile, rossovestita dal tacco in su, attraversa come una lama l'orizzonte visivo del postino.

Voto: 26/30

Gabriele FRANCIONI
05 - 12 - 01


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