BETTY LOVE
di Neil LaBute
con Renée Zellweger, Morgan Freeman, Chris Rock 



Chi è Betty? Una, nessuna e centomila: una nullità per il marito Del.. una bambola burrosa per i suoi vicini.. una cameriera di provincia dalla vita piatta e dai sogni in tre dimensioni.. un tipetto alla Doris Day capace di incantare con la sua fragilità il sicario che la cerca.. Betty.. delirante di alienazione e lucida seduttrice di una società che vede brillante anticonformismo nel suo smarrimento. Neil LaBute, dosando in questo lungometraggio atipico per il target della sua produzione la mordente e cinica arguzia dei suoi lavori precedenti da NELLA SOCIETÀ DEGLI UOMINI ad AMICI E VICINI, sapientemente non scioglie questo nodo e lascia la libertà di amare il suo piccolo film per l’interpretazione ed il valore che ciascuno riterrà di dargli. Una favola noir che attrae l’occhio per il sofisticato impatto visivo delle immagini e nutre lo spirito per la compiaciuta perfezione della sceneggiatura, premiata all’ultimo Festival di Cannes. Betty sfugge alla violenza del trauma subito tessendo un velo tra sé e la realtà, frugando nel suo mondo artefatto alla ricerca dell’appiglio del naufrago, in una vicenda surreale di alienazione e follia. Da una parte lo scalpo di Del, il sangue e la morte.. dall’altro la soap, i sogni, un mondo che si muove in punta di piedi… la mente, sopraffatta, sceglie di isolare fino a soffocarlo l’elemento che incrina il vaso di Pandora e ne lascia uscire il seme della follia.. Betty che non pretende qualcosa di speciale dalla vita ma che qualcosa comunque vuole, immedesimandosi in un personaggio televisivo, parte all’inseguimento di quell’angolo caldo che al mondo aspetta solo lei. Un allucinato viaggio on the road la porterà, sulla via del Grand Canyon, tramite e fine con la sua valenza catartica di una certa malinconica umanità, ad incontrare personaggi che si muovono barcollando lungo i bordi sfilacciati dell’esistenza, tutti senza un legame con la realtà.. tutti senza un perché.. il viaggio come metafora di rigenerazione.. il deserto con le sue aperture e fughe sconfinate riconduce a misura, stemperandola, la disperazione di chi non è più grande di un granello di sabbia.. la televisione, origine di straniamento è anche l’unico strumento capace, infrangendo la follia nel confronto con i suoi miti virtuali, di far recuperare alla protagonista la sua mente perduta con l’effetto placebo dell’assunzione del mito di carta. Betty insegue il bel Dr. Ravell aggrappandosi al sogno che la sua vita non è mai stata.. i due sicari sui generis cercano Betty in un viaggio denso e profondamente intimo che li rivelerà l’un l’altro in una complice dimensione a due.. tutti, insomma, inseguono il simulacro del desiderio, tutti lo cercano, volendolo disperatamente.. qualcuno si avvicina, qualcuno crede di possederlo o pretende di incatenarlo, ma alla fine nessuno vince la sfida con la passione che cova sotto il compromesso. In uno stato di patologica dissociazione tra essere e voler essere Betty percorre un cammino di crescita interiore che la porterà a comprendere di non aver bisogno di nessuno per essere completa, per essere se stessa.. Betty vince perché fa propria la lezione di vita che il sicario innamorato le regala al termine del suo percorso di esperienza e maturità: l’autostima è la lente attraverso cui gli altri ci vedono. Questa sofisticata commedia pulp mescola con grazia e talentoso gusto rétro spunti sociologici importanti, trovate grottesche o puramente comiche, finezza dialettica nel calibro delle battute, misurate come note di un’armonia, gioco cinefilo del meta teatro in cui origine e fine di ogni male vengono fagocitati e ricondotti ad unità da quel frullatore globale di vita quotidiana che è la televisione. Manca, volutamente, lo scontato diktat moralista di un epilogo che dia a tutto il lavoro una chiave di interpretazione autentica di monocorde matrice sociale perché, in fondo, la causa dello straniamento di Betty ne è anche naturale cura. L’eroina di questo psicodramma dei sensi obnubilati ha il viso intenso e deliziosamente imperfetto di Renee Zellweger che, in un’interpretazione che le è valsa il Golden Globe, rende amabile la piccola psicopatica artefice di una inattesa rivincita là dove la vita dissemina solo polvere e deserto, una Zellweger che dopo i dolori della giovane Bridget Jones dà anima e corpo all’altra faccia dell’America, quella della provincia insoddisfatta e minimalista, ripiegata su se stessa fino a soffocare. L’affiancano meravigliosamente Morgan Freeman, killer netto e spietato come il taglio di un bisturi, che fa innamorare in questo ruolo crudo e romantico di professionista dell’omicidio che vive in pace con se stesso e con la natura ed il sorprendente Chris Rock che in questo ruolo di sicario esuberante e fragile esce dalle righe di uno stereotipo collaudato intenerendo lo spettatore anche laddove eccede in violenza e spietatezza. Alla fine della sua esperienza di crescita Betty incamera le energie per diventare ciò che vuole: attrice, infermiera, un’altra persona.. tutto ciò che ha sempre desiderato è finalmente alla sua portata perché scopre di averlo sempre avuto.. basta stringere le mani.. Betty non si lascerà mai più scoraggiare da niente al mondo: giusta o sbagliata che sia la sua decisione sarà sempre la cosa più bella fatta.. perché fatta e non rimpianta.. questo sì è il messaggio..

Voto: 26/30

Elisa SCHIANCHI
13 - 12 - 01


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