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La
Thailandia che abbiamo conosciuto all'inizio del controverso THE BEACH
di Danny Boyle, quella torrida sensazione di luogo privilegiato per la
malattia dell'anima, che infetta chi va alla ricerca di paradisi interiori,
colpisce al cuore e allo stomaco se percorsa dall'interno, se vista attraverso
gli occhi di un cinema anti-esotico, distante da scenic views del
Lontano Oriente. Adrenalina e sangue, pulsioni estreme di una m.d.p. che
usa i tagli di montaggio [ Peckinpah fa il Kieslowski a confronto dei
fratelli PANG, Oxide e Danny ] come sillabe di un cinema muto -
come è muto il protagonista Kong, capace di far parlare solo la furia
metallica delle sue armi - dove ralenti, accelerazioni, riavvolgimenti
della pellicola sono matrici di un'estetica nuova, quasi di qualcosa che
non è immediatamente identificabile come cinema. La redenzione
cercata attraverso l'amore con la farmacista Fon, è l'utopia, la
colomba bianca - e amara - in un ghetto impossibile dove ti viene insegnato
a uccidere solo per poter allungare l'agonia del vivere di qualche breve,
ma intenso, istante. |
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Gabriele FRANCIONI |
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