|
|||
Il
secondo film del regista Furuyama Tomoyuki affronta il problema del difficile
rapporto degli adolescenti con le rigide certezze imposte da una morale
collettiva. La storia, presumibilmente tratta da una vicenda reale, è
ambientata in centro urbano nelle campagne giapponesi dove il protagonista,
Sadamoto, ed i suoi compagni frequentano una scuola superiore. All'interno
di questo microcosmo sociale si impone evidente il carattere perentorio
del senso morale tipico della cultura nipponica dove il bene dell'individuo
è assolutamente secondario alle necessità sociali. Il severo insegnante,
forte del suo inattacabile rigore, appende in classe una sorta di decalogo,
un "indice dell'umanità", che pretende di suddividere gli individui in
"delinquenti", "feccia" e "persone" fino ad azzardare la presuntuosa idea
di assoggettare il diritto di appartenenza alla categoria dell'"umano"
all'assimilazione di un codice etico. L'impalacatura ideologica di quella
cultura non mette in discussione il significato e la natura della regola,
non considera l'ipotesi che essa sia soltanto un espediente necessario
al mantenimento di un ordine conveniente, ma sostiene la sua totale identificazione
con una epistemica concezione dell'umanità: "uomo" è soltanto colui che
riconosce la sovranità della virtù e della giustizia collettiva. Compito
della famiglia e degli educatori sociali è quello di imporre la conformazione
alla regola anche attraverso il ricorso alla violenza fisica ed alla pubblica
umiliazione. Quando alcuni ragazzi della classe, Sadamoto compreso, rubano
alcuni oggetti da un negozio, si macchiano agli occhi della società di
una gravissima colpa che li precipita nell'oscuro limbo dell'inumanità.
Vengono additati come taccheggiatori e sottoposti al rigido regime punitivo
da parte dei genitori, che sono chiamati a picchiarli davanti agli altri
ragazzi, e dall'insegnante che, con una spocchia di sacerdote della conoscenza,
li relega nella categoria di "feccia". Per espiare la loro colpa e riguadagnare
la dignità di uomini devono scrivere un tema di auto-critica di trenta
pagine dove riconoscano la terribilità del loro atto. L'autocritica è
uno strumento importante per crescere, ma alcuni dei ragazzi, non ancora
maturi per riconoscere il loro errore o incapaci di realizzarne una formulazione
organica in un tema di trenta pagine, non presentano il compito all'insegnante
e vengono perseguitati dal suo accanimento: prima vengono costretti a
rimanere con lo sguardo rivolto a terra per tutta la durata della lezione,
poi devono tenere le braccia sospese per ore, ecc:. uno di loro è costretto
a correre per 20 km sotto il sole, finchè stremato e umiliato viene applaudito,
ma l'insegnante precisa che col suo successo, con il fatto di essere riuscito
ad imporsi un obbiettivo e lavorare per raggiungerlo, ha solo guadagnato
l'arrivo al limite d'ingresso nel regno dell'umanità, nella categoria
degli "esseri che pensano", senza però saper sfruttare questa facoltà
per discernere correttamente tra il bene ed il male. Gli sforzi di questo
prepotente regime educativo si scompongono in una spirale dove diviene
arduo distinguere tra autocritica e opportunismo, tra dichiarazione sincera
di colpa e ipocrisia. Sadamoto dichiara di sentirsi "una cipolla", una
stratificazione di menzogne sovrapposte senza centro, ma quella che per
lui è il riconoscimento di una deformità morale è in realtà forse soltanto
la percezione di una frattura con le limitanti certezze etiche che la
società gli impone. Sadamoto ed alcuni compagni non riescono a colmare
la frattura ed uno di loro finisce per gettarsi dal parapetto di un ponte. |
|||
Mirco GALIE' |
|||
|
|||