Un
bellissimo film questo romanzo autobiografico di Jonas Mekas che ri-traccia
gli incroci e le ingerenze reciproche tra documento e finzione: il primo
passando per le immagini e il secondo per la voce off dell'autore che
a distanza di anni rimonta e compone i frammenti visivi girati nell'arco
di ventotto anni privandoli assolutamente della voce (solo qualche rumore:
il vento, il mare e la musica).
Ci si potrebbe chiedere quale funzione abbia il montaggio: evidentemente
quella di creare la dimensione di mezzo in cui finzione e realtà, la cui
problematica è presente ostinatamente nei commenti dell'autore, possano
scontrarsi. Il film è diviso in 12 capitoli che non narrano l'apprendistato
del personaggio ma ripetono e descrivono ciclicamente le stesse; tematiche
- Estate a Central Park; Neve a Soho;
Vacanze a Cape Cod; in Provenza;
- anche se
sono le didascalie a dircelo perché le immagini sempre diverse si smarriscono
nella quotidianità, nella descrizione dei particolari, nel frammento di
un movimento di macchina insensato, mosso o sovraesposto che spesso non
si lascia localizzare.
Verrebbe in
mente una ricerca del tempo perduto, una rievocazione, sempre diversa
perché distorta dal ricordo che rielabora, degli stessi momenti vissuti
se non fosse che qui la realtà è stata filmata e non la si può distorcere.
Ecco quel che emoziona del film: è tutto vero, ma non solo. E' lo stesso
autore che ci avverte: "filmavo per vedere come le mie mani e i miei occhi
reagivano alla vita attorno a me, eppure erano i miei ricordi che filmavo:
il presente reale era già gravido di quel futuro dal quale tutto sarebbe
sembrato ricordo e grazie al quale gli odori della Provenza, i colori
della sua frutta sono più veri di quando erano vissuti in originale".
Ricco di vita questo film di J. Mekas in cui si celebra il tempo, la gioia
del tempo che scorre nelle scampagnate, al luna park con i figli, in una
siesta pomeridiana per la quale "nessuno lo potrà punire". Estatico perché
il montaggio a volte frenetico, prodigo di sovrimpressioni, descrive il
pullulare della vita vegetale, animale, astrale spingendo la nostra immaginazione
a leggere nuove forme in quella realtà di immagini mute (una vera e propria
scrittura del visibile), in quei soggetti ripresi sullo schermo a distanze
variabili quasi a sottolinearne la nuova inquadratura che li trasforma,
li fa "uscir fuori di sé" (ex-stasi in senso eisensteiniano) pur mantenendoli
identici: ecco perché l'autore ci parla delle "estasi" di Central Park,
della primavera che lo (e ci) coglie di sorpresa augurandosi che quei
momenti possano essere, per quanto vissuti soggettivamente e privatamente
dall'autore come parte della sua vita, sentiti anche dallo spettatore:
scommessa che l'autore vincerà pienamente col suo pubblico.
Voto: 28/30
|