Sutter Cane è scomparso proprio all’indomani dell’uscita del suo ultimo
libro. In tutto il mondo impazza l’attesa per il suo lavoro tanto che
nelle librerie si verificano scontri e incidenti tra i lettori che
sembrano in preda a una crisi di astinenza. Alcuni studiosi sostengono
che i romanzi del più letto scrittore del secolo provocano disturbi
psichici accompagnati da aggressività e i recenti avvenimenti
sembrerebbero confermarlo. L’editore Styles (Charlton Eston) decide di
assumere John Trent (Sam Neil), un bravissimo investigatore assicurativo
specializzato in truffe, per rintracciare Cane che sembra sparito nel
nulla. Trent, da buono scopritore di frodi, sospetta subito si tratti di
una manovra pubblicitaria ma si troverà coinvolto suo malgrado in una
vicenda ai limiti dell’inverosimile che lo porterà alla follia o forse,
cosa ancora peggiore, ad essere l’unico cosciente della distruzione a
cui il mondo va incontro.
In questa pellicola Carpenter si conferma uno dei più grandi maestri del
genere riuscendo a combinare un intreccio incalzante a un montaggio
efficace che spiazza e convince allo stesso tempo. Forse in questo senso
il regista calca troppo la mano, tanto che a volte si fatica a seguire
la vicenda senza rimanerne un tantino smarriti. Lo spettatore, al pari
del protagonista, si vede cadere ogni certezza da sotto i piedi.
L’immaginazione si sovrappone al reale creando uno stato fin troppo
ambiguo tra i due piani. Di sicuro c’è che l’intenzione del regista è
fin da subito quella di metterci a conoscenza che le cose in cui
crediamo, la realtà, forse non è più tanto assoluta e che le cose stanno
cambiando e non in meglio. La prima scena vede infatti l’investigatore
Trent rinchiuso in un manicomio in cui tutti temono si tratti di “uno di
loro”. Il film abbonda di mostri che sembrano usciti direttamente dalla
penna di Lovecraft, segno evidente che lo scrittore di Providence
continua ad influenzare l’horror cinematografico (e non solo, visto che
si tratta della trasposizione di un romanzo di Stephen King ) a distanza
di un secolo. Le trasformazioni fisiche, le appendici tentacolari e
l’invasione di tembili entità dalle remote ed impenetrabili estremità
dell’universo, sono tutti che Lovecraft aveva a più riprese trattato nei
suoi racconti.
Hobb’s End, la cittadina dove i protagonisti troveranno lo scrittore
intento a risvegliare oscure forze del male racchiude in sé gli elementi
classici dell’horror psicologico: strani personaggi che vagano in
bicicletta in piena notte proprio in mezzo alla strada; ragazzini che
rincorrono un cane e sui quali la macchina si sofferma sottolineando con
uno slow motion privo di audio; strade che sembrano portare sempre al
luogo di partenza.
Se è vero che Carpenter in questo come negli altri suoi lavori si affida
principalmente all’aspetto visivo per trasmettere il senso di angoscia
che pervade la pellicola fin dall’inizio, non va di certo dimenticato il
ruolo che giocano gli attori. Jurgen Prochnow è perfettamente a proprio
agio nei panni dell’enigmatico ed affascinante Sutter Cane e Sam Neil è
addirittura fantastico nell’incarnare il progressivo mutamento del
proprio personaggio verso la totale perdita di senno.
Niente lieto fine quindi, ma anzi una memorabile scena finale in cui
l’ormai squilibrato Trent scoppia in una risata isterica nel vedere il
proprio personaggio al cinema impersonificare quello che lui aveva
pensato essere generato solo dalla propria mente.
|