LA CONVERSAZIONE

Francis Ford Coppola, 1974

 

di Paolo FAZZINI


Il regista che forse più di tutti è riconoscibile per la sua tendenza a costruire storie in forma di romanzi epici realizzati a costi di produzione elevatissimi è sicuramente Francis Ford Coppola; il fatto che abbia iniziato la propria carriera nella leggendaria "Factory" di Roger Corman potrebbe aiutare a capire come questo regista riesca ad affrontare con l’intraprendenza che lo distingue progetti estremamente diversi che abbracciano opere come Apocalypse now e Il padrino, ma anche film spesso etichettati come opere ‘minori’, solo perché confezionate con budget ridotti ed aventi apparentemente caratteristiche proprie dei B-movie (ad es. Rumbe fish).
In quest’ultima categoria di film potremmo far rientrare anche La conversazione, che Coppola scrisse e diresse nel 1974 e che realizzò con i fondi della sua casa di produzione, la Zoetrope.
L’intera vicenda sembra avere funzione ipnotizzante, sui personaggi e soprattutto su Harry Caul (Gene Hackman) e un’approfondita analisi dell’opera potrebbe prendere il via dalla lunga sequenza centrale che più ci illumina sugli avvenimenti narrati, sul paranoico e privatissimo carattere di Harry.
Il festino che Harry tiene nel suo laboratorio insieme a dei colleghi e ad un paio di ragazze si tramuta nel trionfo della logica che avvolge i professionisti dell’intercettazione: l’intercettare/essere intercettati (quindi, ampliando il concetto, lo spiare/essere spiati) è la regola che vige anche tra i personaggi.
Usando questo precetto Coppola riesce non solo a tessere una sottile e stimolante tela di citazioni e rimandi (basti pensare come questo concetto si colleghi a numerosi film diretti da maestri come Hichcock, De Palma e Lynch, i quali hanno costruito sul ‘guardare’ e sul ‘sentire’ le loro più riuscite opere), ma inserisce coerentemente il proprio film (quindi l’intera vicenda) in un periodo storico in cui l’ossessione della cospirazione trova ragione di esistere (nasce in quegli anni, infatti, quasi un vero e proprio genere sulla cospirazione: Azione esecutiva di D. Miller, 1972, I tre giorni del condor di S. Pollack, 1975, Tutti gli uomini del presidente di A. Pakula, 1976, e così via).
Proprio quando Harry diventa ‘lo spione spiato’, cioè l’obiettivo dello scherzo di cattivo gusto dei suoi amici, sembra acquistare più coscienza sulla sua triste e doppia condizione di carnefice/vittima. Per questo Coppola, durante l’intera durata della sequenza, fa muovere Harry dietro pannelli semitrasparenti, reti metalliche che, se da una parte custodiscono i preziosi strumenti del suo lavoro, dall’altra proiettano sul suo viso ombre che non fanno altro che accrescere l’atmosfera onirica in cui il protagonista vive. Anche i movimenti della macchina da presa sembrano spiare l’intercettatore che, come interagendo con una sorta di personaggio ‘altro, non si rivela mai completamente. La m.d.p. non fa che seguirlo con timide carrellate, spostandosi dal tavolo di lavoro all’enorme parte del laboratorio privo di mobili (l’occupare solo uno spazio minimo di quello che ha a disposizione è un ulteriore segnale della singolare discrezione di Harry) in cui si apparta con una donna, l’unica con la quale parlerà di personali questioni e che, per un triste paradosso, si rivelerà essere una spia.
Ma sono e lentissime panoramiche che più ci illustrano quel mondo di irrealtà, d’ansia, rivelandocelo con movimenti simili a quelli delle telecamere a circuito chiuso (proprio come quelle che Harry collauda quando si trova al convegno, in un’altra sequenza del film).
Anche il sonoro svolge una funzione straniante: nella sequenza si alternano le risate degli amici al malinconico motivo musicale che accompagna Harry ogni volta che rimane solo e prova a confessare (confessarsi) qualcosa. Anche le voci registrate sul nastro, riemergono nel momento di intimità che Harry vive con la ragazza, ci suggeriscono sempre un (doppio) fuoricampo, un passato che ricade inesorabilmente sul protagonista proprio come le ombre delle reti metalliche che si disegnano sul letto dei due amanti. Toccante è inoltre il modo di descrivere un personaggio così introverso e monotono, appassionato però di jazz, musica veloce, sincopata, che egli suona con il suo sax, in completo isolamento, strumento di sfogo di una vitalità repressa, forse, dai sensi di colpa.
Fino alla fine della vicenda sarà un crescendo di paranoia che anche lo spettatore non riesce ad avvertire quanto effettivamente radicata nella realtà. Ma tutte le paure di Harry verranno chiarite, ed il protagonista verrà messo a nudo proprio come le pareti della sua stanza (mostrataci con una semplice, elegante, reiterata panoramica sinistra-destra, destra-sinistra). Non un finale conciliante però, in quanto dell’incubo vissuto dal protagonista nulla è dimenticato e tutto ha lasciato un disordine interiore proprio come quello che, concretamente, domina la sua abitazione (carta da parati strappata, assi del pavimento divelte). Un disordine dal quale sembra nascere un altro indimenticabile personaggio che Coppola ci presenterà qualche anno più tardi, nel 1979, quando con la lisergica sequenza di apertura di Apocalypse now quel disordine al quale Harry tentava disperatamente di resistere, regnerà in tutta la realtà vissuta da M. Sheen: il Vietnam.
 

THE CONVERSATION
Regia: Francis Ford Coppola
Anno: 1974
Nazione: USA
Genere: Thriller