l'amore che resta

di Gus Van Sant
con Mia Wasikowska, Henry Hopper

di Marco Grosoli

 

27/30

 

Un film di sconfinata dolcezza, una soave riconciliazione con la morte che rincorre e afferra la magia, riservata esclusivamente all'adolescenza, di saper vivere i momenti pieni del presente insieme alla coscienza che se ne stanno andando per sempre.
Enoch è orfano: i genitori sono morti in un incidente stradale. Per esorcizzare il trauma (a distanza di anni, non è ancora minimamente capace di elaborare il lutto), si è messo a parlare con un amico immaginario (un kamikaze nipponico della seconda guerra mondiale che lo batte sempre a battaglia navale) e a frequentare funerali. Lì conosce Annabel, anche lei alla fine dell'adolescenza – ma pure al termine della vita, visto che ha un tumore al cervello.
Van Sant si concentra sul tenerissimo idillio che si crea tra i due, decisi ad assaporare ogni istante che resta ad Annabel. Segue compiaciuto i loro dialoghi stralunati, le loro dolcezze, e gli allestisce intorno un perfetto autunno dell'Oregon impaziente di diventare inverno. Nessun dramma: solo una serena accettazione.
In qualche modo, per Enoch e Annabel “crescere” significa (perversamente) venire a patti con la certezza che il proprio infantilismo non se ne andrà mai. Parimenti, i due sembrano ingaggiare un rapporto con la morte alternativo rispetto alla sepoltura, ovvero rispetto al tradizionale pensare il passato come qualcosa rispetto a cui il presente fissa una continuità tagliata su misura per potersene allontanare. Qui no: il presente “sente suo” il passato solo a seguito della certezza di aver vissuto il presente come qualcosa che si avvia a diventare passato. A queste condizioni, il passato davvero non passa mai: è sempre lì. Il “senza riposo” del titolo è dunque innanzitutto un “senza possibile sepoltura”. Ecco perché l'immagine ricorrente del film vede i personaggi sdraiati sull'asfalto tracciare “in diretta” la loro stessa sagoma. Il presente non deve che adagiarsi alla sua forma passata che è sempre/già lì con lui. Ecco perché non potrà essere Enoch ad accompagnare Annabel nel momento estremo, ma l'amico immaginario già morto. Anzi: non lui, ma la sua (bellissima) lettera d'addio in giapponese. I preziosismi stilistici “pop” sfoggiati da Van Sant inquadratura dopo inquadratura sono altrettante lettere d'addio, altrettanti cenni di saluto a una vita sul punto di diventare morta, ovvero di diventare immagine, manichino, carta da parati con una palette di colori mozzafiato.

 

22:05:2011

prima pubblicazione festival di cannes 2011

restless

Regia Gus Van Sant

Stati Uniti 2011, 95'
Sony Pictures Italia

DUI: 07/10/2011

Drammatico