LUCKY BREAK
di Peter Cattaneo
con James Nesbitt, Christopher Plummer e Olivia Williams



Ancora una volta spettacolo nello spettacolo, compiacimento del meta teatro, colore e musica contro alienazione e fallimento, arte come evasione dai vincoli della rassegnazione e delle sbarre: l’ultimo film di Peter Cattaneo, il celebratissimo regista di quel clamoroso fenomeno di fortuna e costume che è stato FULL MONTY, ripercorre tutto il repertorio che ha fatto il successo del precedente del 1997 riproponendo, in salsa galeotta, le avventure di un gruppo di perdenti che riesce, con l’auto ironia e l’improvvisazione, a raccogliere e ricomporre i pezzi di una frantumata dignità. In entrambe le pellicole, infatti, una situazione disperata si recupera attraverso un percorso catartico che vede i protagonisti mettere a nudo le proprie inibizioni ed accettare una sfida senza vincitori né vinti tra talento e mediocrità, tra ingegno e goffaggine, tra speranza e frustrazione. Ma mentre l’espediente architettato dagli imperdibili disoccupati organizzati di Sheffield è entrato nella memoria collettiva come fenomeno culturale e di costume, sintomo di una società malata e claudicante che, però, ha l’umiltà e la lungimiranza di cercare tra le pieghe delle proprie debolezze gli strumenti con cui superare la crisi, questo LUCKY BREAK, pur riproducendo pedissequamente la stessa sperimentata formula di facile immedesimazione, non ha, a ben vedere, le carte in regola per bissare la fragranza del servizio completo alla FULL MONTY ed assurgere anch’esso a fenomeno da imitare e pietra di confronto. Questa pigra ed un po’ superficiale rivisitazione del classico dell’amicizia virile in carcere, rinunciando consapevolmente a sviluppare i fecondi processi psicologici di chi, pieno di rancore e roso dai rimpianti, ben potrebbe accusare il cielo ed invidiare il mondo, sceglie di focalizzarsi sugli stessi pochi ingredienti che avevano decretato la fortuna del precedente e si limita ad offrire un godibile intrattenimento che, però, sa di incompiuto e, comunque, di riciclato. La storia ruota intorno al brillante ma inconcludente Jimmy Hands (James Nesbitt) che, svanito il sogno di una vita facile fatta di soldi facili, si trova a scontare col suo compagno di rapine una pena detentiva di dodici anni nel carcere di Long Rudford. Mettendo insieme una banda di mezze tacche a suo modo efficace come un ingranaggio fallato che tuttavia per qualche inspiegabile alchimia gira e, prendendo al volo l’opportunità che la passione del direttore del carcere per il musical gli offre, Jimmy dà corpo al sogno della fuga impossibile costruendola passo dopo passo dei cento tasselli colorati di cui si compone la pellicola: il piano, il reclutamento parallelo di attori e compari, la collaborazione cameratesca uno per tutti-tutti per uno, la rappresentazione teatrale sgangherata e poi le scale a pioli nascoste tra le quinte, le maschere e la musica, l’amore e l’onore.. Cattaneo guarda con gli occhi socchiusi da un sorriso agli stessi temi sociali che Loach affronta con tutt’altro spessore e realizza una graziosa commedia dai toni marcatamente eccentrici e volutamente inverosimili che scivola via liscia con leggerezza ed intrattiene senza travalicare la dimensione di un prodotto piccolo ed un po’ ingenuo. Il musical sulla vita, le avventure e gli amori dell’ammiraglio Horatio Nelson, scritto e musicato da un perfetto Christopher Plummer nei panni del direttore melomane, è forse la cosa migliore dell’intera pellicola e dà corso ad una serie di intrecci - occasione delle gag più riuscite del film: la scelta degli attori del cast, tutti reticenti, le prove, l’attacco sempre in anticipo del coro, la preparazione delle scene e dei costumi con materiale di scarto e la rappresentazione finale di un piccolo capolavoro di improvvisazione che porterà al fiorire della passione per l’arte anche in chi, per un destino di ignoranza, non l’aveva mai conosciuta prima.. La storia d’amore tra il protagonista, un James Nesbitt irresistibile per sorriso e faccia da schiaffi, e la giovane psicologa dell’Unità di Sostegno e Riabilitazione della prigione, una deliziosa Olivia Williams tutta occhi e carattere, pur non brillando per originalità o spessore è, tuttavia, delicata e credibile ed abbastanza intensa da giustificare la scelta finale di Jimmy tra libertà e pene da pagare. Non mancano momenti di commozione e riflessione più seri così come le trovate grottesche e furbe ma, tra i facili risvolti della punizione dei cattivi (secondini o detenuti prepotenti) e la rivincita dei vessati, sembra mancare il collante che faccia di tutto il materiale al fuoco un’opera unitaria più che una serie di scene gradevoli. Comunque, nonostante l’assenza di trovate registiche e di montaggio di rilievo, l’interesse dello spettatore rimane acceso per tutta la durata del film grazie alla freschezza della storia, alla bravura indiscutibile degli interpreti ed alla colonna sonora divertentissima ma, alla fine della proiezione, passati indenni per un colpo di scena che avrebbe potuto essere sfruttato con ben maggiore acume ed effetto comico, quel che rimane è la sensazione di aver trascorso un paio d’ore piacevoli il cui ricordo, però, svanirà molto presto.

Voto: 23/30

Elisa SCHIANCHI
08 - 01 - 02


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