|
|||
Se
non ci siamo ingannati il film è girato interamente in digitale ma la
perizia dell’inquadratura - anche se non sempre della fotografia – assieme
alla maestria con cui la freddura dell’immagine prende parte alla storia
raccontata non fanno nascere alcuna nostalgia della pellicola. E’ veramente
un bel film questo di Yan Yan Mak in cui un ragazzo si mette in viaggio
pretestuosamente per ritrovare il fratello ma in realtà alla riappropriazione
di sé visto che il fratello ha la sua stessa faccia (lo sappiamo da vecchie
fotografie) e dice o racconta le stesse cose. Il tutto accompagnato da
dialoghi essenziali, da una colonna sonora tanto semplice quanto efficace
eseguita da una chitarra in parte scordata che da "fuori campo" diventa
"off" (ma questo lo immaginiamo vedendo il protagonista accordarne una).
Gli interni sono girati talvolta citando Ozu ma le inquadrature più belle
sono quelle in cui la camera cerca di assestarsi, di variare la distanza
di ciò che filma per contenere o escludere qualcosa (una lampadina che
viene accesa e spenta ossessivamente dal ragazzo) per trovare la giusta
distanza del personaggio da se stesso, dalla sua storia. Il film è reticente
su molte cose, quasi tutte le persone che abitano il paesino dal quale
si sono avute le ultime notizie del fratello nascondono, almeno all’inizio,
di averlo mai conosciuto e ciò emerge chiaramente nel filmato che alla
fine del film ci viene proposto come repertorio girato dallo scomparso
3 anni prima e in cui compaiono gli stessi personaggi a cui il protagonista
chiede informazioni. Tant’è che si consolida un dubbio che aleggia per
tutto il film: saranno forse la stessa persona i due fratelli? O meglio:
non sarà forse che questo film ci fa accorti dell’enorme potenzialità
di linguaggio che il cinema può sfruttare, al di là e meglio della letteratura,
nella questione dell’identità e soprattutto oltre tutto ciò che ogni linguaggio
verbale può dirne? Pensiamo che l’unica cosa che rimanga da fare per comprendere
meglio chi siano i due fratelli sia vedere questo "Gege" che è al momento
ciò che di meglio si sia visto a questa 58° Mostra di Venezia/Settimana
della Critica. |
|||
Alessandro, MAZZANTI |
|||
|
|||