DUST
di Milcho Manchevski
con Joseph Finnes


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Dalle pietre polverose dei deserti macedoni al lividore appiccicoso delle periferie newyorlkesi un rigoglioso rimbalzo di sperimentazioni audio-visive ci risucchia in una esperienza originale e suggestiva. Manchevski rimescola generi e classici in un film fascinosamente ambiguo dove l'architettura composita di una storia tuttosommato già vista altrove, esplode in iperboliche acrobazie registiche e l'intensità del melodramma si stende in modo spiazzante tra pathos di genere e devertissement al limite del demenziale. Ben oltre il presunto virtuosismo estetico degli action movie alla Woo, alle piroette delle macchine da presa attorno i corpi e i giochi di fuoco si sposa una alchimia barocca di decorazioni tecniche e testuali: ralenti abbacinanti, epiche accelerazioni sonore come è tipico di "Western" elevati, eleganti viraggi cromatici e soprattutto un plot che procede in modo bizzarro per accumulazioni e slittamenti narrativi. La banale segmentazione temporale della storia, che si sviluppa su due piani collegati per fleshback, è articolata dall'innesto di sequenze prolettiche e ripercorsi storici interni, da sontuose analogie di montaggio e da un avvicendamento curiosamente arbitrario dei fatti che si ricompone soltanto in modo anomalo aprendo alla possibilità di riletture alternative. Un gusto "perverso" allo stravolgimento del racconto, una rivisitazione "ludica" della grammatica narrativa, un talento audace per flessuose sperimentazioni testuali lontane dalle inquietudini ossessive di un Lynch, ma cariche di una forte carica espressiva e di pennellate drammatiche a tinte forti. Nel marasma delirante di proliferazioni e vezzi di stile si sviluppano le storie parallele di due personaggi separati da un gap temporale ed anagrafico ma assimilati da una istanza comune: l'avventura di una vita condotta ai bordi della civiltà, costretta da un destino di violenza e sopraffazione e tacitamente tesa alla espiazione di una colpa. Luke ed Edge, al di là dell'apparente e cinica disinvolutra della loro vita brava, si scontrano con il vuoto che l'esperienza della morte inevitabilmente consegna loro e rileggono l'esistenza come un divenire che diventa eterno soltanto se consacrato da atti d'amore. Un tentativo di risposta al dilemma che il film si porta addosso: "Dove va la tua voce quando non ci sei più?". Lontano nella memoria si perde il passato, il corpo si annulla nella polvere, ma un filo sottile può legare chi ama all'eterno pulsare del mondo.

Voto: 28/30

Mirco GALIE'
12 - 04 - 02

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DUST è una esperienza completa, dal visuale al sonoro, dal testo alla recitazione. Si compone di parti articolate in maniera complessa, spesso con l’intenzione esplicita di lasciare interdetti, spiazzati, contando più sulla capacità re-interpretativa dello spettatore, che sulla fruizione passiva. Passa fragorosamente da una fiaba narrata oggi tra appartamenti e ospedali di metropoli americana, alla guerriglia polverosa d’inizio secolo tra gruppi di macedoni ribelli ed esercito regolare turco, combattuta entro scenari montagnosi e assolati che possono ricordare in qualche modo il cinema di Sergio Leone. L’intreccio si sviluppa su più livelli narrativi, confondendo i termini di un rapporto conflittuale tra fratelli cowboy – Elijah e Luke - dalle personalità antitetiche, tra santità biblica [ancora una volta citazioni dai Vangeli, in controllato stile pulpfiction] e vocazione maudit. Dopo un lungo piano sequenza a risalire facciata ed interni del classico grattacielo svela-realtà-private, un’ anziana donna newyorkese intrattiene lo scassinatore del proprio appartamento – un ragazzo di colore ricattato da banda rivale per vecchi debiti insoluti - con la storia dei due fratelli. Da lì in poi, la "ricerca dell’oro" verrà a porsi sul doppio piano di realtà contemporanea e rievocazione storica, ma in entrambi casi rappresenta il desiderio di affrancamento da una condizione dalla quale occorre riscattarsi: anche se, in entrambi i casi, la perdita di una figura femminile, la sua morte interverrà ad annullare gli effetti salvifici di quella "conquista". Luke, che aveva una storia di letto con la moglie del fratello, fugge in Europa per "lavare" l’errore continuando a fare il cowboy, rincorso nella discesa agli inferi proprio da Elijah. Ma, invece che risolversi in un duello al sole a mo’ di regolazione dei conti, lo scontro tra i due va a cozzare e a confondersi in maniera "innecessaria" con una lotta per la sopravvivenza combattuta dai nonni di chi scriverà la vicenda di PRIMA DELLA PIOGGIA.
DUST confonde i termini della questione, gioca con l’intersezione dei piani temporali, fa apparire chi narra dentro le vicende narrate, spalma pesanti chili di "hip-rock" sui secchi paesaggi di desolazione e lutto, vuole lasciarci stupiti per ridisporre le tessere di un mosaico ricchissimo all’interno dei nostri universi interiori, inventando per noi storie su storie.
E’ chiaro che ci si perde, ma, dimentichi della storia, meglio percepiamo i grumi di solida e geniale creatività sparsi un po’ ovunque: più del "film sulla memoria, su dove va la nostra voce dopo la morte", vediamo un fantastico trip multicolore che mescola angurie e rosso sangue, letteralmente, e si permette di cancellare con la gommina virtuale di un editor grafico i soldati in eccesso nei due minuti più folli e stimolanti della pellicola.

Voto: 27/30

Gabriele FRANCIONI
30 - 08 - 01