BULLY
di Larry Clark, con Brad Renfro

Saper distinguere il "come" dal "cosa" è un problema tipico di chi fa e giudica il cinema. Noi siamo rimasti interdetti per i [pochi] fischi a BULLY e per i [molti] applausi riservati a operine inoffensive come Y TU MAMA TAMBIEN o MONSOON WEDDING. Come dire che al di là del carattere disturbante di temi come l’ allucinato omicidio [ il COSA ] di BULLY rispetto all’ ammiccante spensieratezza degli altri due titoli, bisognerebbe avere un po’ di "sangue freddo" e riuscire a valutare l’innovatività/ genialità dello stile [ IL COME ]. Il film di Cuaron, in particolare, poiché, come quello di Clark, affronta in qualche modo le ansie e le incertezze generazionali dei diciottenni di oggi, può ad esso essere paragonato. Ma dove il regista messicano rinuncia programmaticamente a una qualche ricerca nelle scelte di regia e accumula immagini di un road-movie divertente ma assai prevedibile [ ricordiamo solo l’uso della voce narrante in fin troppi punti della pellicola, a tentare di alzare il tono del racconto, senza riuscirci ], Clark, invece, conferisce immediatamente al suo film un tono da tragedia contemporanea, ottenuto tramite l’uso di uno stile secco ed essenziale, che nulla concede al pathos.
Clark dimostra anche come si possa fare cinema estremo senza ricorrere a integralismi visivi di sorta [ vedasi alla voce Harmony Korine/ Dogma, suo amico e collaboratore dai tempi di KIDS ] e riesce nell’intento di non prendere mai posizione riguardo alla materia trattata.
Espone, per così dire, una galleria di tipi psicologici quasi fossero pezzi d’arte concettuale, che rendono inutile una spiegazione e, in questo caso, una presa di posizione etica.
Il ragazzino di classe media, studi non finiti e succube da una vita dell’amichetto violento e arrogante destinato invece al college, attraversa senza cambiare faccia e abitudini una serie di stati d’animo che lo porteranno a concepire l’assassinio di quello. Il regista segue lui e i suoi amici senza suggerire un registro interpretativo, laddove il tipo di vita che conducono è già talmente una "performance" drammatica, da non richiedere altro.
Tutto contribuisce a ciò, dall’uso del sonoro come contrappunto minimalista alla violenza trattenuta della storia [ altri avrebbero ceduto alla tentazione di fare un pieno di prevedibile violenza musicale, mentre qui anche il rap di Eminem suona più "controllato" ], ai pochi tagli di montaggio e all’ analoga essenzialità nei movimenti di macchina: in questo sta forse l’ intelligenza e la maturità di un autore che è anagraficamente padre dei soggetti che racconta e riesce a condividere il senso di quel mondo proprio nel momento in cui da esso prende le naturali distanze. Come ha detto in conferenza stampa, per i giovani americani di oggi "sex is not a big deal" [ il sesso non è così importante ], laddove la sua generazione del flower power lo metteva al centro dei motivi di rivendicazione, e il modo di trattarlo all’interno del film, tra scopate gelide e video-divertissement porno, promiscuità "debole" e linguaggio estremo, ne evidenzia perfettamente la natura di "cosa fra le cose", di normale atto quotidiano devitalizzato, incapace di costituire il centro e lo scopo attivo di un’ esistenza. Anche qui Clark apre l’ occhio freddo della sua m.d.p. e non si scalda più di tanto, lasciando scorrere splendidi quadri in quasi bianco e nero. Fotografia che ogni tanto ricorre a colori saturi, prevalentemente azzurri e grigi, assestandosi peraltro su scelte di quasi documentaristica purezza.
Gli interpreti, compreso Brad Renfro, sono solo se stessi e dimenticano subito la presenza della macchina da presa, impegnati a continuare a vivere "velocemente" [ cosa che hanno fatto anche stanotte, alla festa organizzata dalla produzione del film ].

Voto: 29/30

GABRIELE FRANCIONI
31 - 08 - 01


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