Saper distinguere
il "come" dal "cosa" è un problema tipico di chi fa e giudica il cinema.
Noi siamo rimasti interdetti per i [pochi] fischi a BULLY e per i [molti]
applausi riservati a operine inoffensive come Y TU MAMA TAMBIEN o MONSOON
WEDDING. Come dire che al di là del carattere disturbante di temi come
l’ allucinato omicidio [ il COSA ] di BULLY rispetto all’ ammiccante spensieratezza
degli altri due titoli, bisognerebbe avere un po’ di "sangue freddo" e
riuscire a valutare l’innovatività/ genialità dello stile [ IL COME ].
Il film di Cuaron, in particolare, poiché, come quello di Clark, affronta
in qualche modo le ansie e le incertezze generazionali dei diciottenni
di oggi, può ad esso essere paragonato. Ma dove il regista messicano rinuncia
programmaticamente a una qualche ricerca nelle scelte di regia e accumula
immagini di un road-movie divertente ma assai prevedibile [ ricordiamo
solo l’uso della voce narrante in fin troppi punti della pellicola, a
tentare di alzare il tono del racconto, senza riuscirci ], Clark, invece,
conferisce immediatamente al suo film un tono da tragedia contemporanea,
ottenuto tramite l’uso di uno stile secco ed essenziale, che nulla concede
al pathos.
Clark
dimostra anche come si possa fare cinema estremo senza ricorrere a integralismi
visivi di sorta [ vedasi alla voce Harmony Korine/ Dogma, suo amico e
collaboratore dai tempi di KIDS ] e riesce nell’intento di non prendere
mai posizione riguardo alla materia trattata.
Espone,
per così dire, una galleria di tipi psicologici quasi fossero pezzi d’arte
concettuale, che rendono inutile una spiegazione e, in questo caso, una
presa di posizione etica.
Il
ragazzino di classe media, studi non finiti e succube da una vita dell’amichetto
violento e arrogante destinato invece al college, attraversa senza cambiare
faccia e abitudini una serie di stati d’animo che lo porteranno a concepire
l’assassinio di quello. Il regista segue lui e i suoi amici senza suggerire
un registro interpretativo, laddove il tipo di vita che conducono è già
talmente una "performance" drammatica, da non richiedere altro.
Tutto contribuisce
a ciò, dall’uso del sonoro come contrappunto minimalista alla violenza
trattenuta della storia [ altri avrebbero ceduto alla tentazione di fare
un pieno di prevedibile violenza musicale, mentre qui anche il rap di
Eminem suona più "controllato" ], ai pochi tagli di montaggio e all’ analoga
essenzialità nei movimenti di macchina: in questo sta forse l’ intelligenza
e la maturità di un autore che è anagraficamente padre dei soggetti che
racconta e riesce a condividere il senso di quel mondo proprio nel momento
in cui da esso prende le naturali distanze. Come ha detto in conferenza
stampa, per i giovani americani di oggi "sex is not a big deal" [ il sesso
non è così importante ], laddove la sua generazione del flower power lo
metteva al centro dei motivi di rivendicazione, e il modo di trattarlo
all’interno del film, tra scopate gelide e video-divertissement
porno, promiscuità "debole" e linguaggio estremo, ne evidenzia perfettamente
la natura di "cosa fra le cose", di normale atto quotidiano devitalizzato,
incapace di costituire il centro e lo scopo attivo di un’ esistenza. Anche
qui Clark apre l’ occhio freddo della sua m.d.p. e non si scalda più di
tanto, lasciando scorrere splendidi quadri in quasi bianco e nero. Fotografia
che ogni tanto ricorre a colori saturi, prevalentemente azzurri e grigi,
assestandosi peraltro su scelte di quasi documentaristica purezza.
Gli interpreti,
compreso Brad Renfro, sono solo se stessi e dimenticano subito la presenza
della macchina da presa, impegnati a continuare a vivere "velocemente"
[ cosa che hanno fatto anche stanotte, alla festa organizzata dalla produzione
del film ].
Voto: 29/30
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