TEATRO FONDAMENTA NUOVE 2010 PRESENTA...
 

Risonanze

Orange room

Beppe Scardino | sax baritono, clarinetto basso, composizioni
Francesco Bigoni | sax tenore, clarinetto
Piero Bittolo Bon | sax contralto, flauto, clarinetto contralto
Pasquale Mirra | vibrafono
Antonio Borghini | contrabbasso
Federico Scettri | batteria

Venezia, Fondamenta Nuove, 01 aprile 2010
 

 

di Gabriele FRANCIONI

 

30/30

 

Collegamenti:

- Teatro Fondamenta Nuove

- Orange Room

Il sestetto guidato dal toscanissimo (livornese) Beppe Scardino, ci fa pensare, all'inizio, agli Henry Cow di FRED FRITH - passato per Fondamenta Nuove esattamente due anni fa - con quelle parti per le ance così scritte e liriche, senza accompagnamento, eppure così apparentemente improvvisanti. Poi ci vengono in mente i NUCLEUS di Ian Carr. No no no, troppo pre-fusion... JOHN ZORN !!! Certo, l'attitudine a scardinare la frase musicale appena abbozzata, il magma sonoro dei sax - baritono/alto/tenore - insomma, Masada acoustic...

Beh, ma qui c'è anche un po' di follia free jazz, gocce di sangue braxtoniano su tele colemaniane e interi segmenti senza percussioni che vagano dalle parti della contemporanea bella e buona...Elettronica, musica elettronica? niente, nulla. Neanche un Korg sparso qua e là e nemmeno qualche tentazione di piano elettrico molto seventies. Sicuramente brandelli dolphyani tenuti ben stretti e avvolti a un contrabbasso mingusiano..

E se diciamo frammenti zappiani e attitudine - solo quella - da  comune freak in stile Gianni Sassi + Cramps gli ORANGE ROOM s'arrabbiano? Crediamo di no, perché tutta quella temperie non l'hanno vissuta, come noi, e devono ripescarla tra cd e Youtube, purtroppo. 

La perenne stasi postmoderno-citazionista, che ha avvolto gli anni zero e forse uno o due lustri precedenti, ci obbliga sempre al giochino dei rimandi e delle individuazioni, come di fronte a un Botticelli incerto, forse di bottega, pronto per errate attribuzioni.

La lunga premessa è in fondo un complimento, perché questo gruppo del collettivo EL GALLO ROJO è scivoloso come un sapone se si tenta di collocarlo, ma netto e chirurgico se lo si giudica in quanto a chiarezza d'idee e lucidità esecutiva.

Basti prendere uno dei bis, forse (non ce ne vogliano) uno dei punti più alti del concerto: JAMAICAN FAREWELL di Roscoe Mitchell, che qui rinasce e viene lanciata in una dimensione inimmaginabile, tanto è nuovo e fresco l'arrangiamento di Scardino. 

Più semplicemente, gli ORANGE ROOM sono parte integrante di un progetto serissimo e innovativo che prende nome dal citato collettivo e connessa casa discografica - per la quale ha inciso anche Gary Lucas! - e che si autopresenta perfettamente con le parole del sito ufficiale: “(...) un contenitore senza etichette stilistiche, un consorzio di musicisti predisposti alla sperimentazione e alla trasversalità linguistica che, attorno ad una casa discografica, scambiano idee, suggestioni, esperienze d'ascolto e di performance (...)”. 

Quelli del GALLO ROJO sanno che l' unione, e la condivisione, di forze e ideali, sono l'unico, residuale metodo di lotta in un contesto andatosene - strutturalmente - altrove. I cd si vendono in varie forme, ma l'attività live è fondamentale, così come la partecipazione a molti progetti in contemporanea, fino alla necessarissima autotassazione, che è autofinanziamento per garantire indipendenza creativa. 

Lo iato tra quello che una volta era il “mercato discografico” e la ricerca degli ORANGE ROOM, e dei vari componenti come solisti, è talmente ampio, che il problema di smussare angoli e cercare con ostinazione la via per un compromesso finalizzato alla commerciabilità non esiste.

Il bello dell'era del downloading, degli Anni Zero, è questa indipendenza/scollamento tra le ormai fantomatiche vendite dei cd e l'infinito mondo della ricerca.

Ci narrano di tempi in cui entravano in classifica Perigeo e Area: forse i dinosauri (non quelli del Progressive...) erano ancora in giro... 

Fissate coordinate così nette, diciamo che la musica degli ORANGE ROOM merita diversi ascolti, prima di ribadire la propria autonoma innovazione, che ne fa un inedito, pulsante e inatteso crossover tra jazz, free jazz e “contemporanea” (che vorrebbe dire tutto e niente). Ornette Coleman a braccetto con Edgar Varèse fa un salto a Canterbury e incontra il collettivo Art Bears/Slapp Happy/Henry Cow. Mettiamola così. 

Ogni nuovo brano - Scardino compone e arrangia - spiazza il pubblico e si differenzia da quello precedente.

In questo senso, nell' imprevedibilità (architettata o improvvisata non fa differenza) della sostanza armonica e melodica, sta l'essenza profondamente jazzistica di questa entità che sfugge alle etichette. 

Ciò che stupisce e costringe all'attenzione è la continua, parossistica alternanza di frasi iper-performate, urlate, concitate e vaste aree di assoluta calma meditativa, solitamente lasciata a soli che non sono soli, ma minimalistici sondaggi delle possibilità timbriche dei vari strumenti. Batteria e vibrafono (il fantastico Federico Scettri e l' ottimo Pasquale Mirra) potrebbero occupare lo spazio sonoro qui riservatogli con virtuosismi da horror vacui, mentre si mantengono in una costante sospensione che sembra contrappunto a linee “melodiche” suonate dal silenzio. 

Dal vivo è prevedibile che l'arrivo dei pieni, sia ben accolto dal pubblico e certe volte, per così dire, considerato necessario, ma questo è tipico della dimensione live.

Stupisce la capacità di costruire una dimensione poliritmica che toglie il fiato e che sta sia nella scrittura, netta, ampia, lucida, sia nel furore improvvisativo, dove Bittolo Bon - orgoglio veneziano - Bigoni e soprattutto Beppe “Tuttofuoco” Scardino si trovano a meraviglia. Ricordiamo a memoria, nel quarto brano in scaletta, un trio di ance in cui, per un attimo, il viso occhialuto di Braxton si è appalesato sul palco, quasi moltiplicato per la quantità dei musicisti che lo stavano evocando.

Braxton, attenzione, con i suoi diagrammi e valori numerici, significa suono organizzatissimo, che è poi la sensazione costante e non spiacevole del suono degli OR.

Gli ORANGE ROOM attraversano pieni e vuoti, come detto, passeggiano dentro la storia della musica con placida e furente consapevolezza nei propri mezzi, raccogliendo frutti un po' ovunque: lo swing si accorda col free, tutto sta bene con tutto.

Questo impressiona: la capacità di scardin(o)are le strutture di riferimento e farle proprie senza spargere sangue (quello dei Padri).

In conclusione: un concerto eccellente/eccitante, un nuovo disco (il secondo) assolutamente da consigliare, una dimensione di libertà creativa e produttiva da studiare e prendere ad esempio.

TEATRO FONDAMENTA NUOVE 2010 PRESENTA...
 

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Orange room

Venezia, Fondamenta Nuove, 01 aprile 2010