TEATRO FONDAMENTA NUOVE 2010 PRESENTA...
 

Resi/Dance

PREMIO GIOVANE DANZA D’AUTORE VENETO

SEMIFINALI

In collaborazione con

Operaestate Festival Veneto, Anticorpi XL, Arteven

Tiziana Bolfe | Rebecca D’Andrea  |  Giada Meggiolaro

Nereo Marulli  | Martina Cortelazzo | | Marco D’Agostin

Genny Venerando  | Carla Marazzato | Laura Boato
Venezia, Fondamenta Nuove, 28 febbraio 2010
 

 

di Gabriele FRANCIONI

 

29/30

 

Collegamenti:

- Teatro Fondamenta Nuove

- Anticorpi

- Tiziana Bolfe

- Rebecca D'Andrea

- Giada Meggiolaro

Dopo un'intensa residenza dei partecipanti al Premio GD’A della Regione del Veneto 2010 dal 22 al 27 febbraio al Teatro Fondamenta Nuove, ecco le semifinali “disputate” in un clima di concentrato affiatamento tra singoli e mini-ensemble, coreografi e danzatori.

Orario anomalo (le 3 di un pomeriggio domenicale, Venezia “a pioggia” sugli inizi appena intuiti di una primavera necessaria) e quindi sorprendente il tutto esaurito che accompagna le performance-lampo dei giovani danzatori, immersi nel buio familiare di Fondamenta Nuove.

Sono evidenti alcuni tratti comuni tra le varie prove, forse risultato delle linee d'impostazione della residenza.

In generale, i corpi performanti chiedono insistentemente di mostrarsi, di definire un'iper-scena di sè, anzi, esponendo i dettagli di muscolature e ossature, spesso come esito di discorsi intimi, che entrano ed escono dal nero ambientale accompagnati da pochissimo altro: una radio, un vestito rosso, un costume a sacco pieno d'acqua, nastro adesivo.

Le coreografie sono costruite su stazionamenti o essenziali calcoli assiali della geometria del palco, piuttosto che su esplorazioni cinetiche dello spazio.

Assolutamente evidente l'attenzione rivolta verso arti superiori e busto, che diventa interazione combattiva, a forza di urti e colpi autoinflitti, quasi a ricercare nel vuoto la dinamica che è alla base del gesto.

 

Inizia Martina Cortellazzo, in THE CUT-TUK SHOW, apprezzatissimo inizio della pomeridiana. Mima la Clerici dell'ora di pranzo, ma, davanti a una consolle di pentole, polli e marinature, cerca “in aria” la matrice motoria di un movimento danzante delle braccia, che a ritmo di bossanova, ora lente ora rapide, conciano per le feste l'animale bollito e restituiscono la nascosta qualità artistica di un limone accarezzato per essere sbucciato. (27/30)

 

è il momento più originale insieme ad APRI GLI OCCHI AMORE MIO, di e con Laura Boato, anche se i segmenti di danza absoluta sono quelli di Tiziana Bolfe, DIATESI (assolo affascinante, fremito sensuale) e di Rebecca D'Andrea (DISABITATA).

Torniamo agli elementi sempre ritornanti: la stessa Martina si spoglia davanti ai fornelli; così fa Laura, in maniera necessarissima, perché racconta un amore alla deriva ed espone il manifesto del proprio dolore facendo mostra di un sentimento scorticato.

Ripetendo la litania di azioni oppositive (finire/non finire; non scegliere/scegliere), la creatività di donna sceglie sempre l'atto positivo. Partendo da “Me and Bobby Mc Gee” di Kris Kristofferson, evidentemente cantata dalla iper-femminilità vocal-corporea di Janis Joplin, e da una corsa a perdifiato, Laura segna tre posizioni sul palco e lì mette in scena le tappe di questa exhibition del ricordo di un sentimento, dove tutto, nel momento della fine dell'amore, va ridefinito, ricollocato: ci si riveste, ma in maniera destrutturata e sempre sovraesponendo il corpo doloroso.

I jeans vanno al collo, serve del nastro adesivo, tutto è diverso. (28/30)

 

Allora: a) corpi (sofferenti) si denudano; b) vestimenti  vengono attivamente usati come controparti attoriali; c) arti superiori cercano un senso dinamico nel vuoto e colpiscono chi recita. Linea chiara di ricerca, quindi.

Forse solo la musica - a parte Joplin - si nasconde dietro una tessitura un po' monocorde di cupi accompagnamenti ambientali elettronici.

 

Gioiose e ironiche Carla Marazzato e Genny Venerando in IN ALTO I SENI, forse quelle che “danzano” di più e occupano maggiormente lo spazio scenico. Da una marcia di avvicinamento sensuale al pubblico, a un duo di gesti incrociati, sino al frontale toccarsi i seni, spremendone l'essenza ancora una volta di creazione e piacere. Bella la conclusione: i corpi si lasciano andare come bambole rigide a un continuo rimbalzo di cadute e riprese, che è l'esito di un'interazione benevola - e non competitiva- tra i corpi, per poi chiudere con il motivo iniziale del breve catwalk. (27/30)

 

Tiziana Bolfe

 

Chi usa tutto il corpo e danza, usa meno la parola: vale anche per Tiziana Bolfe e Giada Meggiolaro (VERECONDIA DEGLI OCCHI).

La Bolfe - in DIATESI - interpreta una lavoratrice tessile descritta dalla potente dinamica del suo macchinario, invisibile ma incombente, che ne è la convessità versus la curvilinea concavità mobile di un corpo perfetto.

L'idea di una serie di movimenti ripetitivi che spogliano l'anima e la volontà della lavoratrice, porta coerentemente a un fremere continuo, sincopato, di una muscolatura tenuta in esposizione per più di dieci minuti.

Bolfe, aiutandosi anche con una tesa mimica facciale, crea atmosfere elettriche (meglio: meccaniche) che sembrano percorrere verticalmente il corpo della ballerina senza bisogno di essere orientate o coordinate.

Anche perché Tiziana lascia volare dita/mani/polsi/braccia/cosce in preda allo (s)coordinato, ma controllatissimo, fremito indotto dal marchingegno che la violenta.

Classica e modernissima, la Bolfe è/ha una presenza scenica che agisce da magnete nei confronti del pubblico. Caldo successo. (30/30)

 

Giada Meggiolaro

 

Meggiolaro si veste di un “vaso” (opera di Nereo Marulli e della stessa Giada) che ne duplica gli umori e i liquidi corporei, portando all'esterno la natura acquea - e ancora una volta sensuale - del nostro fisico. L'idea base è quella di diventare altro dalla silouhette originaria, acquisendo la forma che lo spazio decide di scegliere per la danzatrice. Forse un leggero ritocco al supporto, che può essere migliorato (alleggerito?), renderà più leggibile la morphè mutante di Giada. Interessante l'atto del bucare il sacco per far fuoriuscire l'acqua dalla bocca e dalla zona inguinale. Anche Giada, per sottolineare l'impossibilità di liberarsi di un peso metaforico, solleva il sacco e sembra spogliarsene, rivelando il suo primo, levigato, corpo performante.(29/30)

 

Rebecca D'Andrea

 

Rebecca D'Andrea è DISABITATA: lei parla di “smascheramento” agito da un abito incontrato per caso, che s'impossessa della sua persona e la conduce altrove, psico-fisicamente.

Questo è il senso del tutto (siamo anche qui nell'area semantica del disvelamento attraverso nascondimenti).

Ciò che è particolarmente interessante, però, è che in questo percorso di straniamenti, Rebecca crea effetti visivi sorprendenti e inattesi (?).

Di lei vediamo solo la parte inferiore del corpo atletico e minuto, mentre è in lotta con il vestito rosso che le nasconde la testa: eppure, piegandosi in avanti o stretchando di lato e all'indietro, l'abito colorato diventa di volta in volta gonna/corpetto/pantalone a seconda della posizione acquisita e del nostro sguardo inventivo di fronte al nuovo mix tra l'avvenente Rebecca nascosta e la prepotente giocosa beffarda protesi morbida. (29/30)

 

Marco D'Agostin, invece, sembra essere sulla strada di Bolfe, ma forse si muove “troppo poco” se ciò che desiderava mettere in atto è la dialettica tra elemento che vìola e elemento violato, prepotenza avanzante e indietreggiamenti deboli. (25/30)

 

Giada Meggiolaro è nata nel 1983 a Montecchio Maggiore (VI). Nel 2007 si laurea all’Accademia di Belle Arti di Venezia e successivamente consegue l’abilitazione per l’insegnamento. Dal 2009 insegna nella provincia di Vicenza.

Dopo la formazione classica, da anni si dedica alla danza contemporanea, studiando con numerosi coreografi.
Ha partecipato alle residenze coreografiche organizzate da Opera Estate di Bassano condotte da Iris Erez alla Gipsoteca Canoviana (Treviso, 2007), Andrea Buckley a Villa da Porto di Montorso (Vicenza, 2008), Pieter Ampe e Guillerme Garrido al Teatro Fondamenta Nuove (Venezia, 2009), Freddie Oppoku Addaie a Villa da Porto di Montorso (Vicenza, 2009).
Negli ultimi anni collabora con l'artista visivo Nereo Marulli.

Tiziana Bolfe è architetto, laureata in Arti Visive, con il light designer Claudio Coloretti e la curatrice Cornelia Lauf, su “un’architettura di luce per la danza contemporanea”, portando una performance alla facoltà IUAV di Venezia (2009).
Inizia a formarsi per la danza, nel 1991, nella scuola della mamma, a Thiene, e non ha ancora terminato.
Ha conseguito i diplomi di danza classica presso l”Accademie Princesse Grace” di Montecarlo e sta cercando di dimenticarli per affrontare il suo corpo di danzatrice in una nuova consapevolezza attraverso la danza contemporanea, la contact improvisation, la release tecnique e la gaga dance.
Danza per la Compagnia Danza Lucy Briaschi dal 1996, occupandosi della creazione di scenografie e costumi.
Ha fatto esperienza con altri coreografi e maestri frequentando diversi workshop di “The Project” a Bassano (Rachel Kirshe, Arkadi Zaides, Iris Erez), un laboratorio di 3 mesi con la Compagnia PlanK di Frédéric Flamand, e varie classi con coreografi e danzatori.
Ha rinunciato al progetto internazionale “The Migrant Body” ideato e promosso da Opera Estate Veneto nel 2006, sostenuto da Cultura 2000, per realizzare un’installazione con Cecilia Bronzini, esposta alla Columbia University a Chicago e al MaXXi di Roma.
Ora sta cercando di trovare la sua qualità di movimento e ha iniziato a farlo attraverso la costruzione di “Diatesi” che è la storia dell’inversione tra un soggetto e l'azione che esso compie: “Diatesi “ narra che, a volte, l’impossibilità è una possibilità di scoprirsi.

Mi chiamo Rebecca Marta D'Andrea,sono nata nella comunità artistica internazionale di Bussana Vecchia in Liguria, poi trasferita nelle colline dell'Alta Marca trevigiana dove sono cresciuta. Ho studiato danza e teatro in Italia.Dal 2003 avuto l'opportunità di studiare Coreografia presso il Dartington College of Arts in Inghilterra e la School for New Dance Development di Amsterdam, vivendo poi tra Italia e Inghilterra e studiando recentemente in India con la compagnia Milon Mela.

La mia ricerca coreografica vuole investigare il corpo del performer come 'veicolo' in grado di trasformarsi per risvegliare interrogativi, incuriosire grazie alla possibilità di sovvertire e reinventare realtà e riproporle sotto nuovi aspetti.

In 'Disabitata' miro a coinvolgere il pubblico sotto vari punti di vista,estetico e visivo,onirico , mentale e concettuale, rifacendomi all'abito come contenitore, maschera e alter ego del corpo stesso.

La mia ricerca del movimento è funzionale a ciò che avviene nella performance e vuole ricercare i passaggi, i cambi di stato e di relazione tra le varie immagini che si creano e che mutano in scena.

Per dar vita a queste immagini, il pubblico stesso diventa elemento fondamentale per il gioco del performer che nella relazione con l'oggetto riesce via via ad accorgersi di cio che lo circonda...

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Venezia, Fondamenta Nuove, 28 febbraio 2010