Seconda esperienza
al Far East Film Festival quest’anno per chi scrive: le buone sensazioni di
un anno fa vengono pienamente confermate.
Il sentimento di estraniazione tipico dei festival di cinema sembra
accentuato dalla lontana provenienza dei film, e, per una decina di giorni,
Udine diventa un collegamento diretto con Giappone, Corea, Cina e talvolta
nazioni di cui non si ricorda neanche la capitale.
La serata d’apertura è dedicata a Sunny, commedia sudcoreana campione
d’incassi in patria, storia corale a tinte rosa che alterna momenti pop a
drammi personali. Ad anticipare i balletti che avremmo visto nel film,
l’intervento del regista, Kang Hyung-chul, viene animato a sopresa da un
corpo di ballo che intrattiene il pubblico sulle note della famosa canzone
del titolo, suonata dal vivo.
Perfomance che lascia regista e pubblico alquanto disorientati.
Il secondo e ultimo film della prima serata, forse per bilanciare la
“solarità” del blockbuster coreano, è il cupo gangster movie Hard
Romanticker, cruda restituzione dello schema A-B-A fatto di
pestaggi-vendette-pestaggi” e vissuto in prima persona dal regista, anche
autore del romanzo semiautobiografico da cui il film è tratto.
Fatta eccezione per alcune
interessanti soluzioni di regia, il film è un po’ difficile da seguire a
causa di un certo affollamento a livello di personaggi.
Dal secondo giorno seguiamo la
routine del festival: mattina con retrospettiva sulla “Darkest Decade”
coreana anni ’70; commedie di pomeriggio; film maggiori in serata.
Quest’anno è stata abolita la
“Horror night”, una tradizione per il Far East.
Durante le lunghe code prima delle proiezioni abbiamo potuto ascoltare
diversi giovani white tiger (studenti e cinefili con accredito omonimo)
lamentarsi dell'inaspettata assenza di un appuntamento cult.
In compenso abbiamo avuto The 33D
Invader - “erotic sci-fi” - una sorta d’ incrocio tra
American Pie e
L’Invasione degli Ultracorpi (se non
Mars Attacks!), che ha
scatenato applausi e cori d’incitamento.
Unico film propriamente definito horror dal programma:
The man behind the court yard house,
produzione cinese che, pur presentando un’originale costruzione cronologica
a ritroso, salta forse un po’ troppo velocemente da un genere all’altro.
Si va dalle atmosfere lugubri e inquietanti dell’ inizio a un finale degno
di un poliziesco, passando per un tango appassionato che alleggerisce la
trama.
Numerosissime in quest’edizione
le commedie, in particolare tre, molto brillanti, provenienti dal Giappone.
La prima è l’acclamatissimo
Thermae Romae, tratto
dall’omonimo manga, che narra le avventure di un avvenente architetto romano
- impersonato da Abe Hiroshi - il quale, viaggiando nel tempo, si ritrova
nel Giappone moderno e trova ispirazione per costruire le sue terme. Le
ambientazioni romane sono quelle degli studi di Cinecittà e nonostante le
onnipresenti e un po’ anacronistiche arie d’opera, questa divertente
cartolina romana è stata apprezzata dal pubblico e il film ha vinto il
Mymovies Audience Award.
La seconda commedia degna di nota è
Sukiyaki, con sceneggiatura che elabora, anche in questo caso, un
manga. Sguardo bittersweet sull’esistenza di un gruppo di galeotti, che, per
dimenticare il pessimo cibo da rancio carcerario, si raccontano i pasti
memorabili della loro vita.
Assai divertenti i lunghi flash-back sulle vite dei personaggi
pre-detenzione: più che di cibo finiscono col ricordare le relazioni che
hanno lasciato fuori.
La terza commedia da non perdere è l’ originale e un po’ demenziale
The Woodsman and the rain, in
cui un taglialegna - l’attore Yakusho Koji - si ritrova coinvolto nelle
riprese di un film sugli zombie (!?!).
Proprio grazie a quest’esperienza e al rapporto con il giovane regista del
film - interpretato dall’idolo delle teenager Oguri Shun - il protagonista
riesce a ricucire il legame con il figlio e a dare una scossa alla routine
quotidiana.
Alla fine tutti gli abitanti del villaggio verranno coinvolti nel film come
comparse (memorabile la scena in cui la famiglia del taglialegna arriva in
paese e trova tutti gli abitanti truccati da zombie).
Non mancano nemmeno le più
tradizionali commedie romantiche.
Love Strikes!, ovvero l’amore
ai tempi dei social network, che permette al nerd ancora vergine di
conquistare una ragazza carina e disinvolta via Twitter.
You are the apple of my eye -
grande successo al box office taiwanese - autobiografia di successo del
romanziere Giddens Ko. Avrei, che in veste di regista intrattiene il
pubblico con la narrazione della propria adolescenza, tra bullismo, amorazzi
adolescenziali e svariati hits taiwainesi in sottofondo.
Rent-a-cat, favola delicata
che vede la giovane Sayoko girare con un carretto pieno di gatti da
affittare alle persone tristi al grido di “Rent-aaaaaa-neko!”, poi diventato
il tormentone pre-proiezioni.
Penny Pinchers, produzione
sudcoreana in cui i protagonisti, entrambi al verde, trovano ogni espediente
per risparmiare, a costo di convivere ognuno con i difetti dell’altro,
finché sboccerà un’ anomala storia d’amore low cost.
L’unico film thailandese del festival,
It gets better, sviluppa tre vicende legate al tema della sessualità
- intesa come ricerca della propria o comprensione e accettazione di quella
altrui - che s’intrecciano fino a fondersi insieme. Notevoli le coreografie
del locale trans gender, al centro di una delle storie.
Un po’ deludente Romancing in thin
air, il nuovo chick-flick di Johnnie To, che ancora una volta si
serve di Louis Koo, consolidata icona romantica hongkonghese. L’intreccio è
piuttosto prevedibile: una donna sola alle prese con i fantasmi del passato
si ritrova improvvisamente in casa una star cinematografica alla deriva e in
crisi d’ identità, di cui è peraltro fan appassionata…
Infine il coreano My secret partner,
divertente declinazione sexy del tema amoroso in veste di doppia
(pericolosa) dinamica studente-insegnante, tra equivoci e furti di idee.
Tra i thriller di quest’anno, molto ben riuscito
Moby Dick, primo lungometraggio del coreano Park In-jae. Siamo agli
inizi dei ’90, nella neonata democrazia coreana, dove alcuni giornalisti
tentano di far luce su un attentato di oscura matrice. La ricerca della
verità - sulle tracce di una misteriosa organizzazione segreta che controlla
tutto il sistema - avrà conseguenze devastanti sulla vita dei protagonisti.
Il riferimento al romanzo di Melville vuole indicare l’ossessione di uno dei
reporter - come Achab contrapposto al monstrum che sfugge al suo controllo -
sempre alla disperata ricerca di un colpo editoriale.
Nightfall, poliziesco made in
Hong Kong, sfoggia un appeal palesemente hollywoodiano, in cui Eugene,
appena uscito di galera, si ritrova coinvolto in un’indagine per omicidio.
Grazie alla caparbietà del detective George Lam riuscirà finalmente ad avere
giustizia rispetto ai torti del passato. Spettacolari le scene d’azione,
garantite dall’alto budget di partenza.
Una vera perla è invece il malese
Songlap, che sviluppa le vicende di due fratelli coinvolti in
traffici illegali.
Il minore, segnato dalla perdita per overdose del suo migliore amico,
cercherà il riscatto prima attraverso l’hip hop, poi tentando di recuperare
il rapporto con la madre (prostituta), infine convincendo il fratello,
interessato solo al denaro, ad aiutare la giovane Hawa, in fuga da un padre
violento, semplicemente per fare la cosa giusta e tentare di cambiare il
corso delle loro vite.
In definitiva, ancora una volta il panorama del Far East si rivela colorito
e accattivante, come dimostrano anche i continui sold-out dei film in prima
serata.
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