ANALISI ESTESA DEL FILM

TUTTA COLPA DI VOLTAIRE
di Abdellatif Kéchiche

Francia 2000

Con Sami Bouajila e Elodie Bouchez

di Gabriele FRANCIONI

Se leggiamo o studiamo l'opera di Pierre De Ronsard, il poeta "pleiadico" citato due volte in TUTTA COLPA DI VOLTAIRE, ne ricaveremo tracce importanti da seguire per comprendere il lavoro di Abdellatif Kéchiche, regista molto premiato e ben poco noto.
Traccia: l'aspirazione a trattare una materia artistica alta , piena di riferimenti colti, era peculiarità dell'uno ed è oggi dell'altro.
Ciò che portasse Ronsard a citare Petrarca, pur producendo un linguaggio più personale, intensamente musicale, dai toni voluttuosi, ma comunque zeppo di accenni mitologici etc., non ci è dato sapere.
Diversamente, intuiamo che per il Kéchiche tunisino di Francia, come per migliaia di altri maghrebini emigrati, il riscatto personale spesso avvenga grazie alla Cultura.
Ecco allora l'inserimento all'interno del testo filmico di accenni nient'affatto indiretti alla poesia, come in questo film, o al teatro francese, che attraverso Marivaux addirittura fornisce la struttura narrativa - e non solo - per il successivo LA SCHIVATA (2003, www.emik.it).
L'operazione non è né gratuita né, peggio, intellettualistica, ma serve a produrre una lingua "comprensibile" a tutti, immigrati in cerca d'integrazione e francesi democraticamente in ascolto della "diversità" rappresentata da quelli.
Operando in tal modo una sorta di traduzione immediata di concetti assoluti (povertà, ricchezza, solidarietà, amore), grazie all'aiuto dei Ronsard e dei Marivaux - si veda la scena della poesia recitata dentro un metrò - il regista stabilisce una forma di contatto con la nazione nella quale ha scelto di vivere e dove i suoi personaggi, sempre maghrebini e francesi mescolati fra loro, si interrogano su tali concetti.
I luoghi deputati per le dispute in questione sono: i quartieri misti (VOLTAIRE) e la banlieu a dominanza meticcia (LA SCHIVATA).
Ronsard scrisse un "Discorso sulle miserie del tempo" (Discours des misères de ce temps, 1562), e una"Rimostranza al popolo di Francia" (Remontrance au peuple de France, 1562), che potrebbe anche essere un assunto fatto proprio dal regista tunisino, poiché le interrogazioni dei suoi characters non arrivano mai a una risposta consolatoria, per quanto "elegiaca" sia la sua critica sociale .
In entrambi i film, infatti, dopo uno svolgimento lieve, leggero del ricorrente tema dell'integrazione razziale, il racconto cambia tono improvvisamente e non lascia spazio a speranze di conciliazione.
Nel film di Kéchiche, Jallel lascia la Tunisia per Parigi, sperando in un presente migliore. Non sa ciò che l'aspetta, perché la realtà è diversa da ciò che gli era stato raccontato.
In questo scarto tra narrazione/finzione e brutalità delle cose vere, sta, appunto, il senso ultimo del film: i documenti falsi per ottenere il visto, il matrimonio finto, come la recita scolastica de LA SCHIVATA, suggeriscono l'idea che per sopravvivere da apolidi in terre straniere sia necessario e vitale indossare una maschera.
Il permesso di soggiorno contraffatto vale quanto "Les Amours": un modo per rendere provvisoriamente accettabile la vita.
L'utopia del meticciato culturale che riesce a trascinare il rispetto reciproco tra le razze rimane tale.
C'è chi crede di trovare una risposta nella fuga (si veda anche, in un contesto non multirazziale, ma comunque disperato, anche LILJA 4-EVER, altro film distribuito dalla Dolmen) e chi, come i tunisini di questo film, devono invece fare di tutto per rimanere, pur rendendosi progressivamente conto che la condizione dell'apolide è eterna e senza scampo.
Tanto è vero che, paradossalmente, replicano per le vie della metropoli francese la loro vocazione all'incessante movimento: mai fermi, sempre alla ricerca di un luogo dove sostare, se non di un heimat (Jallel, al bar con un amico nativo di Brest: "A me Parigi piace, perché le strade sono piene di persone di razze diverse e ho l'impressione di essere sempre in viaggio...").
La vita di Jallel è un andirivieni fatto di traslochi continui: accoglienza coatta, appartamento della prima fidanzata e clinica psichiatrica.
E se accade che stia fermo per lavorare, è perché si trova negli spazi della metropolitana (il venire, l'andare via, etc.).
Quando Lucie entra nella vita di Jallel, possiamo leggerla sottotestualmente come una metafora della Francia stessa: fa credere di essere un luogo di accoglienza provvisoria dei sentimenti di Jallel, ma vuole il suo corpo (la forza lavoro). Anch'essa in crisi, forse viziata dal troppo sesso (appunto, il lavorio dei corpi stressati), non può fare a meno di lui ma, letteralmente, si vende anche ad altri, usa altri immigrati etc.
Certo, Lucie è anche semplicemente l'homeless che vede in Jallel il suo doppio, ma si presta comunque ad un'interpretazione approfondita: il pre-finale sembra volerlo confermare.
Kéchiche, asciutto ed essenziale anche quando gira con la m.d.p. in continuo movimento, crea vortici di persone destinate solo a sfiorarsi, mai a incontrarsi o costruire qualcosa insieme. Lo stile lo segue, dinamico senza essere à-la Dogme 95.
Il regista, come ne LA SCHIVATA, mette in scena la "recita" di gruppi sociali incapaci di un vero dialogo, nonostante il supposto senso di colpa dei Francesi dopo la fine del colonialismo nel '62.
I due protagonisti si segnalano per un'interpretazione molto partecipata: l'ottimo Sami Bouajila (un intenso Jallel) e la straordinaria Elodie Bouchez (Lucie), già ammirata ne LES ROSEAUX SAUVAGES (1994) di Techiné.

VOTO: 30/30
17/02/2006

TUTTA COLPA DI VOLTAIRE
di Abdellatif Kéchiche