il cinema ritrovato

01/08:07:2006

BOLOGNA

 

di Sara DRAGANI

 

Sono passati già 20 anni da quando due talentuosi giovani di nome Gian Luca Farinelli e Nicola Mazzanti idearono il Cinema Ritrovato. Eppure quel carattere per metà popolare e per l’altra specialistico rimane immutato, contribuendo ancora a riempire le poltrone del Lumiere e le sedie di Piazza Maggiore. La vastità del programma, capace di mettere in imbarazzo lo stakanovismo di qualsiasi cinefilo, si articola come sempre attraverso la divisione in sezioni  e la proiezione in 3 diverse sale, in due delle quali si fronteggiano cinema muto e sonoro, mentre nell’ultima - il cinema Arlecchino dal grande schermo - si tenta di riassaporare l’ebbrezza del Cinemascope. Ed ovviamente a tutto ciò si sommano le visioni sotto le stelle ed il consueto evento al Teatro Comunale.

Vista l’impossibilità di ottenere il dono dell’ubiquità, seppur in virtù di una così onorata causa, quanto segue sarà un diario parziale ed incompleto del festival.

 

 

Ritrovati & Restaurati

 

All’interno della sezione più ampia del festival il posto d’onore spetta al Maciste di Romano Luigi Borgnetto (Italia, 1915). Il restauro, eseguito nel 2006 nel laboratorio de L’Immagine Ritrovata di Bologna si collega idealmente a quello de La Caduta di Troia presentato nell’edizione precedente del Cinema Ritrovato. La presentazione di Davide Pozzi sottolinea quanto la grande mole di materiale rinvenuta presso il Museo del Cinema di Torino abbia facilitato la ricostruzione del film e in particolare quella delle esilaranti didascalie, anticipando inoltre la presentazione del Maciste Innamorato alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone.

Il forzuto Maciste si mette dunque all’opera liberandosi dai vincoli dello schermo cinematografico e di Cabiria, fronteggiando e battendo il vile tutore di una fanciulla che confidando nel suo aiuto era corsa a cercarlo negli studi dell’Itala-Film. Il risultato è una narrazione veloce e spassosa che coinvolge nelle titaniche fatiche dell’eroe, la cui vicenda non potrebbe che terminare confermandolo vittorioso.

 

Les gaz mortels di Abel Gance  (Francia, 1916) propone il tema della guerra così caro al regista, e in particolare quello dei gas mortali utilizzati dalla stessa Francia al fronte; l’intento didascalico prende forma nella scenografia realistica e alcune sequenze terrificanti e ammonitrici, particolarmente veritiere grazie all’uso di maschere protettive, vecchi prototipi delle odierne maschere anti-gas.

 

Terje Vigen (Svezia,1917), opera di Victor Sjostrom, pioniere del cinema scandinavo - noto ai più per la sua interpretazione del professore ne Il posto delle fragole - viene presentata in Piazza Maggiore in una nuova versione di qualità nettamente superiore a quella dei precedenti restauri. Per l’occasione il dramma (adattato dal poema di Ibsen) è musicato dall’eclettico pianista e compositore Matti Bye accompagnato da Kristian Holmgren agli effetti elettronici.

 

I doppi sensi e i fraintendimenti della sophisticated comedy Erotikon (Svezia, 1920) sono scanditi nuovamente dall’accompagnamento di Matti Bye (pianoforte e fisarmonica) e Kristian Holmgren (chitarra e mandolino); il duo è  impreziosito stavolta dalla presenza della violinista Lotta Johansson. Senza l’ironia della musica probabilmente la commedia di Stiller tenderebbe a zoppicare e il paragone con Ernst Lubitsch potrebbe suonare azzardato. Un’attenzione particolare va alle didascalie originali, il cui umorismo grafico rende meno pesante lo sforzo di sollevare lo sguardo dalla versione italiana.

 

La collaborazione del Danish Film Institute con la Murnau Stiftung ha reso possibile il restauro di Michael (Germania, 1924) di Carl Theodor Dreyer. Il film nasce dall’adattamento di un famoso romanzo dello scrittore danese Herman Bang: l’intento del regista è di alleggerire i toni rispetto a quelli della carta stampata, nonostante siano inevitabili gli scivoloni nel melodramma e nell’assurdo. è necessario ammettere come l’imperfezione di un’opera per alcuni versi immatura risulti addolcita dall’elegante forza dell’ambientazione fin dè siecle realizzata dall’architetto Hugo Haring.

 

L’ex-invisibile Vittorio De Seta appare nella sezione con Banditi a Orgosolo (Italia, 1961), straordinaria opera prima che gli valse l’omonimo premio alla decima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Lo stile che sorpassa il neorealismo, le leggi di un mondo arcaico ed incontaminato e la spettacolare fotografia continuano a lasciare a bocca aperta. L’unico rammarico resta per l’improbabile doppiaggio - determinato all’epoca da difficoltà economiche - nonostante tra i credits figuri Gian Maria Volontè.

 

Se al Maciste spetta il podio, accanto ad esso non può mancare Il ventaglio di Lady Windermere (Usa,1925) di Ernst Lubitsch, l’evento mondano del festival. Il capolavoro tratto da una commedia di Oscar Wilde brilla di una  sottile ironia ove nulla è espressamente menzionato: è soltanto attraverso la sapiente regia di Lubitsch che lo spettatore si muove nella catena di misunderstandings. L’orchestra stabile del Comunale è diretta dal maestro Timothy Brock, autore della nuova partitura presentata in prima mondiale. Immagine e musica si sposano in una condizione di rispettiva necessità formando un connubio perfetto: basti pensare alla fuga orchestrale a tre voci che commenta i pettegolezzi delle tre zitelle attempate.

 

 

William S. Hart: star of the West

 

La rassegna sul western delle origini si concentra sulla figura di William S. Hart, attore teatrale che in seguito alla visione di un film di cowboy in un nickelodeon decide di cimentarsi nell’impresa di impersonare il vero uomo dell’ovest attraverso lo studio reale dei movimenti e comportamenti che lo caratterizzano. The testing block (Usa, 1920) incarna perfettamente lo spirito e le intenzioni dell’attore, che in questa circostanza veste i panni di un fuorilegge redento dall’amore per un’artista girovaga. Non mancano le scene di lotta e la malignità che tenta di distruggere la conquistata felicità del protagonista Sierra Bill, ma come la regola impone arriva il finale a ristabilire l’ordine e la serenità. The whistle (Usa, 1921) si colloca invece  in una prospettiva differente. L’intento è di denunciare lo sfruttamento del lavoro minorile e la scarsa sicurezza della fabbrica attraverso la lacrimevole vicenda di un operaio tessile, vedovo e segnato dalla morte del figlio in un incidente sul lavoro.

 

 

Germaine Dulac, cinéma pur

 

Assieme a Sarah Bernardt e Loie Fuller, Germaine Dulac è protagonista della sezione dedicata alle donne del cinema. La retrospettiva si apre con un intervento registrato del suo segretario, entusiasta e commossa rimembranza di una regista femminista, socialista e rivoluzionatrice del linguaggio cinematografico. La cigarette (Francia, 1920) è il più vecchio film della Dulac sopravvissuto ed anticipa la tematica impressionista che sarà sviluppata nella produzione successiva; nonostante si tratti di un’opera acerba è impossibile dimenticare il passaggio della (finta) sigaretta avvelenata nelle labbra dei due innamorati. Le diable dans la ville (Francia, 1924) è una satira sociale che si serve abilmente della dimensione allucinatoria per destabilizzare la linearità della narrazione, fino a produrre uno straniamento nello spettatore. La Dulac è ancora distante dalla maestria che raggiunge invece ne La coquille et le clergyman (Francia, 1928), basato su sceneggiatura di Antonin Artaud che ne è l’interprete principale. Nonostante la regista avesse definito l’opera come anti-surrealista, essa può considersi in realtà come uno degli esprimenti meglio riusciti del surrealismo nel cinema. La condizione onirica viene evocata attraverso pensieri e movimenti di un prete, un ufficiale ed una donna, scelta per la quale Artaud alla prima proiezione pubblica sconfessò l’opera dichiarandola totalmente distante dai suoi intenti che prevedevano che il sogno non venisse apertamente rappresentato.

 

 

Dunque una ricchissima edizione, la ventesima del Cinema Ritrovato. E anche se è parsa leggermente sotto tono rispetto a quella dello scorso anno, il giudizio che la riguarda non può che confermarsi ottimo, non solo per la programmazione ma anche per l’accoglienza e per l’aria da veri appassionati che si è respirata per una settimana. Tanto da far rimpiangere nei giorni successivi l’avvento del cinema sonoro..

 

Bologna, 15:07:2006